“Dopo di Noi” fai da te
In una famiglia dove è presente un figlio disabile, oltre ai normali problemi della quotidianità, si assomma quello che viene chiamato il “Dopo di Noi”, termine col quale i genitori di persone con disabilità indicano il periodo che seguirà alla loro dipartita: si chiedono, in pratica: cosa ne sarà del nostro congiunto disabile quando non ci saremo più ad assisterlo? Chi se ne prenderà cura in modo adeguato?
Le famiglie italiane da anni si chiedono perché non si intervenga per creare strumenti in grado di assicurare un futuro sereno alle persone con disabilità che non potranno più, ad un certo punto della loro vita, contare su un supporto famigliare. È vero che esiste la legge n.112/2016, appunto la legge sul Dopo di Noi, entrata in vigore il 25 giugno 2016 che favorirebbe il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità grave, ma è pur vero che i primi due anni della legge sono stati anni di rodaggio, la legge ha scontato inizialmente la sua portata innovativa, le Regioni hanno dovuto metabolizzare le novità. Non possiamo dire “tutto male”. Nelle prossime annualità sono certo che i numeri dei beneficiari si innalzeranno e, da questo punto di vista occorre essere ottimisti.
Ma comunque ad oggi, in attesa delle Regioni, che pare siano in una sorta di deficit “progettuale”, sono rare le risposte e spesso uno dei destini poco rassicuranti è il ricorso alle RSA, strutture di per sé disumanizzate e disumanizzanti, così tristemente noti in tempo di Covid.
Invece la vera “alternativa” sono piccoli gruppi-appartamento, che riproducano le condizioni abitative e relazionali della casa familiare, realizzando interventi innovativi di residenzialità per le persone con disabilità media senza sostegno genitoriale o genitori anziani e non più in grado di accudirli.
Comunità con 10/12 ospiti, che sfruttino al massimo le capacità residue presenti in tutti e la più ampia possibile autonomia, vera molla di una convivenza creativa e felice. Oltre la vita comunitaria coi suoi ritmi (pulizie, preparazione pasti e tavola), sono da prevedere laboratori creativi come pasta fatta in casa, disegno, piccole costruzioni ed altro.
Così è capitato a Lino, che a 48 anni si è trovato orfano di entrambi i genitori, morti a tre mesi l’una dall’altro, con un solo fratello sposato, con 3 figli, in una città lontana. Questo improvviso e totale “dopo di noi” sembrava buio. Ma un’esperienza di vacanza passata con un centro diurno per disabili adulti un anno prima ha acceso una luce e il tunnel si è rischiarato. La possibilità di riprendere i contatti con questa realtà, che si trova nella città del fratello, ha reso a Lino meno nebbioso il trasferimento a circa 596 km dalla sua città.
A livello sperimentale, in una casa presa in affitto, Lino ha iniziato l’esperienza di una casa famiglia con un “ragazzo” più o meno della sua età e nelle stese condizioni, con una buona dose di capacità residue da sviluppare.
Tra ombre ma anche molte luci, la cosa è andata avanti per qualche mese, poi l’esperienza si è diffusa a macchia d’olio e altre famiglie hanno voluto “provare” l’esperienza. Avevano capito, incontrandosi, che il “dopo” di noi doveva necessariamente partire “prima”, per non diventare un’emergenza difficile da gestire. Così si è affittata un’altra casa dove inizialmente sono stati ospitati altri 5 “ragazzi “e “ragazze”, per arrivare attualmente ad una “Casa” più grande, con annesso orto, che ospita 12 persone.
La parola d’ordine di Lino è “autonomia, autonomia”, che significa il raggiungimento di un traguardo che nei suoi 50 anni non aveva mai visto o sfiorato. Nei discorsi col fratello viene fuori che lui e la sua famiglia sono sì, la sua famiglia, ma la Casa è la sua Vita.
Altri traguardi importanti: aver imparato a cucinare, quando lui non sapeva farsi neppure un uovo fritto, fare la pasta in casa, fare atletica leggera e correre come non mai, fare il cameriere ed altre perline nella collana di autonomie conquistate.
La cosa più importante e meritoria è che questa Casa è il frutto dell’impegno delle famiglie che, uniche, la sostengono anche economicamente, con una quota mensile proporzionata alla “forza” di ciascuno. Nessun aiuto esterno, almeno per ora.
Forse questa esperienza potrà dare una spinta ad altre famiglie che potranno compiere la stessa “impresa” per un prima, durante e dopo di noi.