Donne equilibriste tra maternità e lavoro

Una riflessione plurale e a tutto campo a Genova, nel primo ciclo di appuntamenti dedicato alla conciliazione tra maternità e lavoro. Tra genitorialità condivisa e diritti negati
MICHELE NUCCI - ANSA

L’equilibrismo è una abilità tipicamente femminile, quella tra maternità e lavoro poi è una prassi, spesso affidata all’abilità funambolica di chi arriva a scegliere di avere un figlio…o due. Le ricadute sociali sono analizzate a tutti i livelli, con importanti indicazioni che la politica, solo in qualche caso, riesce ad acquisire. Un recente convegno di Palazzo Tursi, a Genova, ha voluto riportare l’attenzione sul tema, con l’apporto di donne provenienti da universi culturali diversi ma che insieme si pongono come interlocutrici molto qualificate dell’amministrazione comunale e regionale.

Maria Rosa Biggi, presidente regionale del Cif (Centro italiano feminile), ha iniziato questo lavoro di dialogo e tessitura con il confortante risultato di vedere ora attivamente presenti le donne dell’UDI, dei sindacati CGIL, Cisl, Uil, di “Se Non Ora Quando?”, del “Centro per non subire violenze”, di “Insieme per le donne”.

L’approccio del convegno è pragmatico, non si proclamano slogan ma si ricercano le condizioni per comporre il piano delle scelte personali e famigliari con quello della sostenibilità economica e sociale. Le donne in Italia guadagnano meno degli uomini, sono più soggette al part-time involontario e a orari ridotti, dedicano alle attività domestiche circa 3 ore in più dei compagni.

La recente campagna elettorale ha dimostrato carenza di proposte strutturalmente valide, oltre gli strumenti “stagionali” come i bonus bebè, gli spot sull’imprenditoria femminile, i bonus per le assunzioni femminili, che rischiano di produrre effetti solo a breve termine perché agiscono non sulle cause ma sui sintomi. Anche l’obiettivo del 40% di donne elette, previsto dal Rosatellum, è stato largamente disatteso, un altro elemento che testimonia qualche evidente criticità del ruolo della donna nel nostro Paese.

Dopo aver affrontato con Daniela Notarfonso, medico bioeticista e responsabile di consultorio familiare ,  il tema centrale delle radici della maternità, Giovanna Badalassi, economista (www.ladynomics.it – per una Signora Economia) commenta con efficacia i dati Istat 2017: 458mila mamme che nel 2017 hanno partorito e accudito i propri neonati. Con tutto quello che ciò comporta. «Quando hanno partorito il 62,7% circa di queste mamme lavorava, ed entro 2 anni il 22,3% di queste, sempre secondo le statistiche, lascerà o perderà il lavoro.  Più di 60.000 donne che smetteranno di lavorare. Sono nove anni consecutivi che nascono sempre meno bambini e nel 2017 si è battuto il record di minori nascite dall’unità d’Italia. Novemila bambini in meno ma il numero di figli medi per donna è rimasto uguale. Come mai? Pare che ci siano molte meno donne che fanno figli, e sempre più tardi. È in atto una riduzione del contingente di donne in età feconda (15-50 anni) e un progressivo spostamento in avanti del calendario riproduttivo. Anche gli stranieri hanno cominciato a fare meno figli. Lo stereotipo della donna in carriera che decide di non avere figli, se ancora ha motivo di esistere, riguarda una piccolissima minoranza. La condizione femminile, di italiane e straniere, resta il tema centrale, il loro empowerment e il riconoscimento della forza economica e sociale che rappresentano».

Se abbiamo da poco acquisito la consapevolezza che per crescere un bambino ci vuole un villaggio, ormai è evidente che  «c’è bisogno di una comunità intera per mettere al mondo un figlio» (Sara Ventroni , Alleanza uomo-donna, Città Nuova editrice, p. 27).

La precarietà del lavoro femminile vuol dire precarietà della famiglia con riflessi disgreganti per la società. Occorre ascoltare i vissuti di madri e padri, di diversa estrazione sociale e culturale, per intraprendere politiche che corrispondano ai reali bisogni. La legislazione attuale per la genitorialità – come sottolinea Piero Calbucci  della “rete di sostegno contro la violenza di genere”– è in parte inattuata e necessita di sempre nuovi aggiornamenti.

Stimolanti i dati presentati da Raffaella Rognoni dei Word Café svolti sul territorio con gruppi di giovani famiglie. La genitorialità maschile è in fase di cambiamento, c’è l’esigenza di una condivisione della cura dei figli, si intravedono nuovi modelli di padri. Si fa strada l’orizzonte di un’alleanza uomo-donna che può costituire la cifra di un cambiamento sociale.

Sofia Borri, direttrice generale di Piano C – coworking e servizi per donne e papà -, delinea con entusiasmo un nuovo paradigma, un Piano C, appunto, che esclude la necessità di lasciare il lavoro per vivere in pienezza la maternità, così come l’idea di “conciliare” lavoro e maternità. «Non si possono conciliare a valle situazioni a cui non si riesce a trovare una soluzione a monte.  Il mondo del lavoro si è formato e strutturato su un modello maschile, sia nei tempi di gestione che nella misura della leadership e del successo, mentre le donne hanno un’organizzazione dei tempi e un tipo di leadership totalmente diversi, in grado di aggiungere valore. Ricerche autorevoli dimostrano che il PIL italiano aumenta del 3% per ogni milione di donne che entrano nel mondo del lavoro e che la presenza di più donne in posizioni decisionali: migliora la redditività, migliora la governance, diminuisce la corruzione. Sia gli uomini sia le donne hanno bisogno di modelli differenti, di poter partecipare a questa trasformazione identitaria. Abbiamo creato uno spazio di coworking, un luogo fisico dove sperimentare flessibilità, possibilità di lavorare rimanendo nella stanza accanto al proprio figlio, e allo stesso tempo allacciare relazioni in ambito professionale. Sviluppiamo progetti di empowerment professionale, sia individuali che di gruppo, con particolare attenzione alle donne fuoriuscite dal mercato del lavoro a causa di una maternità o di carichi di cura famigliari al fine di valorizzare, condividere e diffondere il talento femminile troppo spesso invisibile».

Monica Zancani, counselor ed operatrice volontaria del Centro “Per Non Subire Violenza”, illustra i percorsi di uscita dalle dinamiche della violenza messi in atto, con particolare attenzione alla ricerca di una riqualificazione professionale che permetta alla donna di conquistare l’indipendenza economica.

Le conclusioni dei lavori affidata a Francesca Lagomarsino, dell’Università di Genova, esprimono accanto alla necessità di misure concrete ed azioni di sostegno per armonizzazione tempi di vita – tempi di lavoro, il bisogno di fare comunità, attraverso la costruzione di reti solide e stabili. Un orizzonte di azione che è nei programmi della rete di donne presenti a Palazzo Tursi, determinate a continuare il confronto con le istituzioni a livello locale e nazionale.

 

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