Donne del vangelo e papa Francesco

Donatella e Roberta, malate di Sla, scrivono al santo padre e poi lo incontrano. Il ricordo di quel momento. La testimonianza di due donne esperte del patire e dell’amare. La bellezza della Chiesa della povera gente quando primato è il vangelo
Donne e papa

Sempre abbiamo visto in questi tre anni il papa vicino a poveri, malati, migranti, carcerati. Portiamo negli occhi la sua tenerezza, che viene dal vangelo di Dio. Io ho parlato alcune settimane fa, il 9 aprile, di una visita giubilare di una piccola comunità di malati, di poveri, di fragili, di deboli, venuta a Roma a celebrare con papa Francesco il giubileo della misericordia. In questa comunità, cosi immersa nel vangelo, ci sono due donne speciali, maestre nel patire e nell’amare.

 

Donatella. Malata di Sla, impedita a parlare, ha scritto alcune righe a papa Francesco: «Lei è la misericordia fatta persona, ma è anche un pontefice coraggioso e determinato. Lei sta sempre con i più deboli, con i malati con i migranti. Ricordo ancora con commozione le sue parole sui migranti: “Chi piangerà i nostri bambini annegati per cercare un futuro, chi piangerà le donne incinte morte per cercare un futuro per i loro figli, chi piangerà per quegli uomini che cercano solo un lavoro per mantenere le loro famiglie?”».

 

Ma da questa visione Donatella ci consegna la sua croce: «Anche noi malati di Sla abbiamo la forza di reggere il nostro calvario. Gesù ha detto che ognuno ha la croce che è in grado di sopportare. Lui con la sua morte ha salvato il genere umano, certo che la croce della malattia è pesante, ma Gesù dice che ogni giorno ha il suo affanno. Io però voglio lottare fino al termine della mia vita per il diritto di cura». Ecco il cuore della fede, del coraggio e della dignità di Donatella. Essa conclude, rivolgendosi al papa: «Desidero darle una carezza, ma qualcuno mi deve aiutare».

 

Nella sua malattia e nella sua povertà, c’è tutta la sua tenerezza per il papa dei malati e dei poveri. Essi traggono dall’incontro con Francesco la forza e la bellezza di vivere. In una lettera alle amiche, Donatella racconta quella carezza: «In quel momento Stefano (compagno di Donatella) ha dato la mano al papa e gli ha chiesto se potevo fargli una carezza: Francesco gli ha risposto che si metteva di lato, perché era più comodo. Quando ho incrociato il suo sguardo, non m’importava più se avevo la lingua fuori o la bocca aperta. Lui mi ha messo il braccio intorno al collo in una specie di abbraccio e ha messo la guancia sulla mia bocca. Poi Assunta (una amica) ha preso la mia mano, l’ha sollevata e l’ho accarezzato, poi ha messo il mio braccio attorno al suo collo per abbracciarlo. Infine papa Francesco mi ha baciato sulla fronte. Questo è tutto, ma è durato un tempo infinito».

 

Ecco la carezza di Donatella al papa. Ecco la carezza dei poveri e dei malati, la carezza dei santi. Papa Giovanni consegnava la sua carezza per i bambini, qui Donatella una malata di Sla dona la sua carezza a papa Francesco, una carezza come intimità e benedizione. Alla carezza segue poi il pianto di Donatella, felice per aver ricevuto, nell’intimità di questo incontro, la gioia che non può essere tolta. La gioia di Dio e del cielo, senza dimenticare i diritti di tutti, in primo luogo dei malati e poi di tutti i sofferenti, in un singolare e unico mistero di gioia e di dolore.

 

Roberta. Anch’essa malata di Sla, il 2 maggio ha scritto al papa. Anche lei viene da quella parrocchia, un po’ speciale e unica. Scrive: «Caro papa Francesco, sono Roberta malata di sla, come tante altre persone. Una malattia pesante per noi malati e per le nostre famiglie, in un paese dove la ricerca è burocratica e lenta. Ma penso che sia di grande aiuto vivere la sofferenza della malattia vicino al Signore, che nel mistero della passione, morte e resurrezione ci indica la strada per dare un senso al dolore. Penso e prego per tutti i malati soli e per i malati che scelgono la morte invece che la vita. Vivere con fede e speranza questa prova mi aiuta molto, perché il Signore ci consolerà fino alla fine del mondo».

 

Ecco la fede e la preghiera di Roberta. Una fede e una preghiera che custodiscono la sua vita e la sua famiglia, benedetta da un figlio. E cosi racconta il suo incontro con papa Francesco: «Ha rafforzato la mia fede. Il suo sguardo sorridente mi ha trafitto il cuore di gioia. Il Padre che abbraccia il Figlio sofferente, il resto non conta nulla. Abbandonarsi alla sua volontà e alla vita eterna mi dà tranquillità e speranza».

 

Due donne del vangelo in una piccola comunità cristiana che sa vivere le attese della povera gente e accompagnare il suo dolore. Papa Francesco ha deposto la sua tenerezza nelle vita di Donatella e Roberta, perché tutti imparassimo la gioia del vangelo, che accade nel cuore di molti, quando i poveri e i malati diventano i nostri veri maestri a misura di Gesù.

 

Il papa ha risposto alla testimonianza di queste due donne rinviando ad una sua riflessione del 1° aprile 2015: «A volte il buio della notte sembra penetrare nell’anima, a volte pensiamo: “ormai non c’è più nulla da fare” e il cuore non trova più la forza di amare. Ma proprio in quel buio Cristo accende il fuoco dell’amore di Dio, un bagliore rompe l’oscurità e annuncia un nuovo inizio, qualcosa comincia nel buio più profondo. Proprio in quel buio è Cristo che vince e che accende il fuoco dell’amore. La pietra del dolore è ribaltata lasciando spazio alla speranza».

 

Ecco l’esodo della speranza che, a caro prezzo, Francesco ha donato a queste due donne, capaci di sperare perché esperte nel patire e nell’amare. Ecco la Chiesa bella della povera gente dove i più piccoli vivono il primato del Vangelo.

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