Donna atleta: un valore aggiunto
Hanno scalato l’Olimpo! titolavano i giornali italiani dopo la finale mozzafiato con la Grecia: la gioia spontanea, incontenibile, delle ragazze della pallanuoto femminile italiana aveva contagiato persino coloro che ignoravano esistesse questa disciplina ai Giochi Olimpici. Un anno dopo, spenti i riflettori di Atene, le azzurre sono tornate ad allenarsi lontane dalle prime pagine dei giornali. Quattro su tredici, tra cui Lilli Allucci, la capitana della squadra, hanno deciso di appendere la calottina al chiodo. Un brano di vita che si conclude, un brano di cui Lilli parla volentieri, accompagnando le sue parole con un’instancabile sorriso: ne parla con misurato distacco, come si conviene a chi ha passato il testimone, ma i suoi occhi continuano a brillarle in volto quando ripensa ad Atene: Vincere la medaglia d’oro ha rappresentato il premio ad un lungo lavoro di anni, ma l’emozione più grande l’ho provata entrando nello stadio olimpico per la cerimonia di apertura, un evento che mi accompagna sempre perché riassume tanti momenti della mia vita, gioie e dolori, fatiche e soddisfazioni . Vent’anni in una disciplina faticosa ed ingiustamente ritenuta minore, la portano a riflettere con una certa saggezza sullo sport di oggi. Lamenta la mancanza di attività fisica nelle scuole e la mancanza di educazione alla multidisciplina: Si dovrebbero poter provare tutti gli sport, magari uno al mese, per trovare così il proprio, quello che ti fa divertire, che ti esprime, che ti dà soddisfazione: è questo che ti dà la vera spinta a continuare anche nei momenti di delusione. Come quando non poterono partecipare, per mancanza di soldi da parte delle Federazione, al mondiale di pallanuoto al quale per la prima volta e con tanta fatica si erano qualificate. Non si persero d’animo, conquistando la qualificazione olimpica, cariche di motivazioni. Quelle motivazioni seminate in lei dai genitori tanti anni prima quando le offrirono la possibilità di scegliere lo sport da praticare: Piscina! rispose con entusiasmo. E ripensa a quando, piccolina, si tuffava dagli scogli, felice ed incosciente, nel mare di Nitida, davanti a Napoli, senza preoccuparsi di saper nuotare. I miei genitori non mi hanno mai forzata: una sola volta, a tredici anni, ai primi dubbi adolescenziali, mi hanno chiesto di insistere, ed è stato importante. Dopo, la passione per la pallanuoto è cresciuta così tanto che…. Lilli non dimentica le numerose difficoltà affrontate per raggiungere i risultati: Giocammo la stagione dello scudetto allenandoci in una piscina che era stata scoperchiata da una tromba d’aria e non c’erano fondi per ripararla: non ci fermarono né l’acqua fredda, né le distanze. L’allenatore ci caricava in sette nella sua utilitaria pur di accompagnarci tutte in piscina. Prendeva solo un rimborso spese, ma ci ha fatto crescere insieme con il suo entusiasmo . Il richiamo allo sport collettivo Lilli l’ha percepito quando si è accorta che, sorprendentemente, migliorava i suoi tempi in vasca gareggiando in staffetta: Mi piace di più il clima del gruppo, lo considero un plus valore: anche il sacrificio, vissuto con gli altri, ha più sapore . Insieme hanno lottato contro le penalizzazioni di uno sport a torto considerato minore: Noi praticanti sport diversamente noti – provocatorio il paragone con i diversamente abili n.d.r. – non abbiamo scelto queste discipline per diventare ricchi e famosi. Per dare valore ad una cosa non devi avervi facile accesso: l’Olimpiade, il nostro obiettivo principale che cade solo ogni quattro anni, in questo senso ne è un prototipo. Così ora che, a trentacinque anni, ha chiuso il suo ciclo, anziché poter vivere di rendita di una lunga esperienza sportiva ad altissimo livello, Lilli sta cercando lavoro: in tasca ha una laurea in psicologia, specializzazione in psicologia sportiva. Le piacerebbe contribuire a far crescere una nuova cultura sportiva: Nella cultura italiana, una vera e propria monocultura calcistica, si è perso di vista l’atleta: il calcio, con i soldi che girano, appare come una scorciatoia verso il successo, e nessuno si cura più che l’atleta sia davvero felice di ciò che sta facendo. È un rischio che non ho corso, e posso dirmi felicissima di quello che ho fatto, e non solo per i risultati, tanti, raggiunti. Lo sport perde la sua natura quando viene ridotto a mezzo per divenire ricchi e famosi perché si crea troppa pressione attorno a chi lo pratica e si mistificano eccessivamente vittoria e sconfitta. La vittoria è vissuta come supremazia sull’altro, mentre è già una vittoria salire di un gradino, realizzare un piccolo miglioramento personale. Tutti gli sport si dovrebbero godere senza l’ansia di una vittoria, un’ansia da prestazione che quasi sempre produce risultati opposti. La sua lunga esperienza sportiva ed il suo impegno per il diritto allo sport alle donne le permette anche di parlare, con cognizione di causa, sullo sport al femminile: La donna sta dando un contributo importante allo sport, un contributo che non può prescindere da altri obiettivi della vita, quali la maternità. È un elemento che dà un valore aggiunto all’atleta donna che per essere anche atleta deve fare più sacrifici di un uomo, il quale può continuare a gareggiare anche dopo essere divenuto padre. La carriera di atleta di una donna è frutto di una scelta, di una rinuncia a qualcos’altro: questi sacrifici in più offrono alle donne la possibilità di saper apprezzare di più i risultati raggiunti. I frutti che ne ricavi sono insomma più alti: la gioia sperimentata per gli obiettivi raggiunti è frutto del valore che si è dato ad essi. È un bel vantaggio, dà un bel sapore a ciò che fai.