Donarsi con un violoncello
Ha mani forti e volto d e t e r m i n a t o Christian, 42 anni, tedesco ma con sangue slavo nelle vene, come si capisce dal cognome. E come si vede appena “abbraccia” il suo strumento, un esemplare di scuola francese, anno 1840, dono dei suoi genitori. La musica infatti l’ha si può dire succhiata in famiglia. “Vivevamo in una piccola città della Westfalia, io sono il secondo di cinque figli – racconta -. I miei non erano musicisti professionisti, ma, come spesso succede in Germania, in casa si suonava uno strumento, fin da piccoli. Anche adesso, quando ci ritroviamo, è spontaneo far musica insieme. “I miei ci tenevano che studiassimo musica. Ho cominciato presto con il pianoforte e il violoncello: del resto nella nostra città era molto naturale suonare strumenti ad arco. Così prima ho suonato nell’orchestra della scuola (un’altra consuetudine della cultura tedesca, ndr), poi, al liceo, frequentavo lezioni private a al conservatorio di Dortmund, grazie ad una borsa di studio. Finalmente, conquistato il diploma di maturità a diciott’anni, mi sono trovato di fronte alla necessità di una scelta per la vita”. Christian infatti, oltre la musica, ha un’altra grossa passione, diciamo più forte della musica stessa: testimoniare la verità del cristianesimo impegnandosi vitalmente, un “ideale” che gli è nato tramite il contatto con i giovani dei Focolari. Cosa fare? “Concretamente, si trattava o di scegliere la carriera, perfezionandomi in un’altra città con un maestro per suonare in un’orchestra; o puntare all’insegnamento della musica nella scuola”. Christian ci pensa a lungo, poi sceglie l’insegnamento. Si trasferisce a Colonia per gli studi professionali, vince il concorso per la Musikhochschule, continuando a studiare il violoncello, si iscrive e si laurea anche alla facoltà di lettere. Naturalmente, segue corsi estivi di perfezionamento in Austria e Germania, suona nei piccoli complessi di “musica da camera”. “Perché mi piace questo “genere”? – interviene, prevenendo una domanda -: ma perché la musica è essenziale farla insieme. Preferisco un piccolo gruppo dove ogni voce deve “donarsi” completamente. Qui invece tutto dipende anche da te e nello stesso tempo non sei solo: c’è uno splendido gioco di rapporti. Ricordo un’estate in cui con un quintetto suonavamo Dvo?rak, un compositore che amo molto. Eravamo diversissimi: c’era il violinista estroso tipo Paganini, una pianista molto matura, un violista assai calmo e me, che ero ancora assai giovane. Ci è capitato di stare insieme fortuitamente, diversissimi per storia e formazione. Eppure, era tanta la gioia di suonare quel pezzo insieme, che, ci siamo “trovati”. Non è facile spiegarlo: eravamo in piedi dalle sei del mattino; per studiare di più, volevamo ciascuno dare il massimo, esprimere una bellezza: è stata un’esperienza che dice cosa è per me questo modo di far musica; anche se non si tratta di un genere popolarissimo”. Ma lui, Christian, cosa prova quando suona? “Sono molto contento – afferma risoluto -, mi trovo ricreato. Mi appassiona tanto che, anche se studio, non mi sentirei mai di smettere. Certo, ci vuole parec- chia concentrazione, perché prende la mente e il corpo, ma non conosco orari; potrei andare avanti all’infinito “. Una “vocazione autentica”, si direbbe. Che trasmette agli altri. “Durante i tredici anni di insegnamento ad Heidelberg – racconta – ho formato nella scuola ben due complessi musicali: uno di una trentina di elementi, tutti studenti più giovani; ed un’orchestra di sessanta fra colleghi, genitori e studenti. Facevamo delle tournée, per esempio siamo stati in Italia. In quelle occasioni, dirigevo l’orchestra: un’esperienza diversa, perché tutto passa attraverso di te, i tuoi occhi, lo sguardo, il gesto. Misentivo esposto al massimo. Come quando faccio musica da camera. In quel momento sei tu, con i tuoi limiti e i tuoi pregi, non puoi tirarti indietro. È difficile, ma è un grande dono che posso fare, nel senso più vero della parola. Ma in quei momenti capisco di dover morire a tutto me stesso: da questa morte, nasce il dono, un qualcosa che poi passa al pubblico. La musica mi insegna a fermarmi solo sul presente, senza chiedermi se quella nota, quel suono è venuto più o meno bene ”. Christian si sofferma a raccontare cosa gli è capitato l’estate scorsa. “Ero impegnato in quattro concerti con un pianista italiano amico, Paolo Vergari. Pur essendo professionalmente più maturo, non mi ha mai fatto pesare nulla, così l’intesa è stata sempre più libera. Io sarei un tipo ansioso, perfezionista, m’interessa molto anche l’estetica della sala e del palco: si immagina come mi posso sentire prima di un concerto Salito sul palco con Paolo, mi sono accorto che esisteva solo il presente, ci siamo aiutati con un gioco di sguardi. Qualcosa così è passato al pubblico, anche a quello indifferente presente in uno dei concerti. Certo, è fondamentale come sei ascoltato; se non c’è ascolto infatti il dono che vuoi fare resta in te, non passa alla gente. Diversamente, succede un “qualcosa”, difficile da definire. Me lo ha detto recentemente una collega: “Certo, tu con la musica fai dire delle cose che non si riescono ad esprimere con le parole: riesci anche a trasmettere la tua esperienza spirituale: il linguaggio parlato non ci riuscirebbe””. Sono momenti come questi, e le esperienze di reciprocità durante i concerti, che fanno maturare a Christian, una decisione: prendersi una pausa dall’insegnamento, perfezionare lo studio del violoncello e dedicarsi a trasmettere la vita dello spirito più direttamente, attraverso la musica. Quasi un ritrovare, ma con maturità diversa, l’arte dei suoi anni giovanili. Così lascia Heidelberg – fra lo stupore di tutti, data la stima che godeva – e scende a Firenze. Trova subito un eccellente maestro a Terni e da alcuni mesi ha iniziato una fase nuova della vita. Si sente libero Christian: “La musica è un linguaggio universale – conclude – ed io la amo perché mi dà la possibilità di servire gli uomini: attraverso di essa posso offrire momenti di divertimento, di gioia, di relax: e di elevazione interiore”.