Donald o Hillary? Voto di pancia e voto di ragione

Il giorno delle elezioni presidenziali Usa è arrivato. Sperando che i risultati arrivino presto, e che la scelta riflessiva prevalga su quella emotiva
Elezioni Usa © Michele Zanzucchi 2006

S’è detto tutto e il contrario di tutto nella “sporca” campagna elettorale per eleggere il nuovo presidente Usa che succederà a Barack Obama, il primo presidente nero. Forse ci sarà una nuova première: una donna alla Casa Bianca.

 

Finalmente si va ai seggi, o si vota da casa, o per strada col telefonino, dipende dalla stranissima e variegata modalità di voto statunitense, che cambia da Stato a Stato. Per mettere fine a una delle più violente battaglie “democratiche” mai conosciute. E si voterà il meno peggio, o meglio il candidato che apparirà al singolo elettore meno compromesso, meno indigeribile. Un Donald Trump spaccone, donnaiolo e ignorante di geografia mondiale o una Hillary Clinton d’apparato, compromessa con troppi centri di potere e dalla salute incerta.

 

È questa la speranza per l’ultimo rush finale: che la testa prevalga sulla pancia, che la libertà di cui gli statunitensi sono gli araldi li porti a votare il candidato che più apparirà loro compatibile con i valori che le stelle e strisce hanno sempre veicolato nel mondo: libertà, intraprendenza, ottimismo, anche generosità.

 

Un dettaglio che non è tale guida il voto: queste non sono le elezioni “americane”, ricordiamocelo, ma semplicemente una delle elezioni “americane”: gli Usa hanno ormai perso la loro supremazia mondiale in un pianeta ormai multipolare, e così “americane” sono anche le elezioni brasiliane, colombiane o nicaraguensi… Dobbiamo smetterla di accettare passivamente l’equazione “statunitense=americano”, per rispetto a tutti gli altri popoli, appunto, “americani”.

 

Così queste sono le elezioni dell’identità statunitense persa per strada, un’identità che si basava troppo sulla potenza militare ed economica e troppo poco sui valori che da sempre hanno contraddistinto gli Usa. Mi torna in mente una frase del pensatore francese Alexis de Tocqueville che nel suo La democrazia in America scriveva così: «Gli americani sono grandi perché sono buoni. Se cessassero di essere buoni cesserebbero pure di essere grandi». Un orizzonte appassionante per il nuovo presidente. O per la nuova presidente.

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