Don Rocchi, un volto della bella Italia

Nei giorni scorsi è scomparso a 101 anni questo sacerdote molto impegnato nel sociale, fondatore della Città dei ragazzi di Modena. Un esempio dell'Italia che lavora e non si arrende davanti alle difficoltà
Integrazione

Lo vediamo continuamente. C’è una Italia che parla che parla, che urla a volte, che gode nell’affossare il connazionale (specialmente se di talento), che s’ingegna per creare problemi, abile nello scovare ogni scusa possibile – anche tirando in ballo nobili motivi – per rallentare, per intralciare, per disfare, per scaricare la colpa sull’altro, pur di non fare. C’è poi un’Italia operosa, che non parla molto, un’Italia creativa, che si dà umilmente da fare, che s’impegna per superare gli intralci, che dà una mano per risolvere i problemi, che cerca di non arrendersi: una bella Italia. Don Mario Rocchi era di quest’Italia.

È morto domenica scorsa, a 101 anni. Lui s’è dato da fare. Prima, insieme a un altro  giovane prete di allora, don Elio Monari, per salvare dai nazisti prigionieri britannici che erano fuggititi dalla prigionia dopo l’armistizio, nella seconda Guerra Mondiale. Poi fondando a Modena la Città dei Ragazzi, per aiutare ad avere una professione, a trovare un’occupazione e vivere in modo dignitoso, i ragazzi abbandonati, senza futuro.

Don Mario e don Aldo era due preti di montagna, esemplari di quella gente semplice e silenziosamente eroica che durante gli anni burrascosi della guerra non ha esitato ad esporsi a rischi per salvare chi era nei guai con i nazisti. Don Elio Monari fu barbaramente ucciso per questo. Don Mario sopravvisse. Gli inglesi che tramite a lui si salvarono gli furono per sempre riconoscenti. Lo aiutarono a realizzare la sua idea “folle”, il suo sogno: La Città dei Ragazzi. Anche la Regina Elisabetta, riconoscente, contribuì con un assegno di 5 milioni di lire, che allora non era poco. Anche altri italiani si piegarono alla testardaggine del prete e lo aiutarono, finanziando la sua opera.

Don Mario poté così acquistare un terreno paludoso, disboscarlo, e iniziare a tirar su fabbricati. Ora ci sono circa 250 ragazzi nella comunità, la metà extracomunitari. Don Mario è un fulgido esempio del più schietto cattolicesimo sociale, che tanto contributo ha dato alla nostra terra. Prima di morire, domenica scorsa, ha detto al diacono che da tempo lo assisteva: «Dal Cielo, se il Signore mi riterrà degno di accoglienza, pregherò per tutti a continuerò a lavorare per i ragazzi». Sì, perché chi fa parte di questa Italia, neanche con la morte smette di darsi da fare. Solo facendo leva su questa “bella Italia”, di cui don Mario è un degno volto, la nostra patria potrà trovare se stessa e darsi un futuro.

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons