Don Minzoni, testimone della coscienza
Lo scorso 23 agosto è stato ricordato ad Argenta, presso il duomo di San Nicolò, don Giovanni Minzoni nel novantasettesimo anniversario del suo efferato omicidio ad opera degli squadristi fascisti. Per l’occasione Agesci, Masci e Scout d’Europa Fse, al termine del corteo che ha raggiunto il luogo del martirio, hanno consegnato un messaggio all’arcivescovo di Ravenna, Ghizzoni – che ha concelebrato la messa – per chiedere l’apertura del processo di beatificazione. Una figura di testimone credibile, quella di don Minzoni, che è bene ricordare in questo nostro tempo.
Il 23 agosto 1923 ad Argenta, in provincia di Ferrara, ma sotto l’arcidiocesi di Ravenna-Cervia (unite dal 1909), don Giovanni Minzoni venne brutalmente assassinato da Giorgio Molinari e Vittorio Casoni, squadristi che facevano capo a Italo Balbo e che, oltre ad uccidere il sacerdote, aggredirono il giovane che lo accompagnava, Enrico Bondanelli. «Una mano assassina l’aveva atteso di notte – riporta la cronaca scritta da don Annunzio Gandolfi nel 1973 per la rivista Asci l’Esploratore – in agguato all’angolo di un vicolo buio del suo paese e, prima che egli se ne avvedesse, a tradimento gli aveva fracassato il cranio con una randellata».
Sullo sfondo dell’Italia degli anni ’20, dove la grave rottura del patto sociale provocò scontri di piazza e morti in tutta la penisola, l’Emilia in cui visse don Minzoni fu teatro di conflitti tra squadristi fascisti, sostenuti dalle forze padronali, e militanti delle organizzazioni dei lavoratori; all’ordine del giorno vi erano violenze, omicidi, scontri.
Don Minzoni, fervente sacerdote dalla parte degli ultimi e convinto sostenitore della nonviolenza già prima della chiamata alle armi, avvenuta nell’estate del 1916, seppe costruire, nella parrocchia di San Nicolò di Argenta dove fu nominato curato, un ricreatorio maschile. Nel 1914 si laureò a Bergamo in teologia con una tesi, al tempo d’avanguardia, sul rapporto tra il Cristo storico e il Cristo della fede.
Dopo la Prima Guerra mondiale, in cui meritò la medaglia d’argento al valore militare per il coraggio dimostrato nella battaglia del Solstizio sul Piave (15-24 giugno 1918), divenne parroco nella stessa parrocchia di San Nicolò. Qui lavorò soprattutto per dare un’organizzazione educativa ai giovani del posto – costruì un doposcuola, un teatro parrocchiale, una biblioteca circolante, due sezione scout – e per favorire la diffusione della pratica cooperativistica, di ispirazione cattolica, tra i braccianti e le operaie del laboratorio di maglieria.
La sua fede impastata di carità, speranza ed energica umiltà, seppe attrarre molti giovani, uomini e donne, e per questo divenne inviso ad estremisti di ogni colore politico. Prima suscitò l’ostilità dei socialisti per la fondazione della cooperativa agricola, poi si attirò le ire dei fascisti quando, nei mesi che precedettero la marcia su Roma, prese pubblicamente posizione contro le loro violenze e aderì al popolarismo di don Sturzo.
La stragrande maggioranza dei ragazzi argentani preferì aderire all’associazione dei Giovani Esploratori Cattolici, fondata da don Giovanni, e non alla nascente Opera Nazionale Balilla. Nel convegno interdiocesano dei giovani cattolici romagnoli, tenutosi nell’aprile del 1923, don Minzoni decise di costituire una sezione dell’Associazione scautistica cattolica italiana (ASCI), risultando in piena sintonia con il discorso che Pio XI fece il 10 giugno 1923 agli scout. Egli aveva fatto la sua scelta di campo: di fronte all’attacco sistematico dei fascisti al Partito Popolare Italiano e ai circoli cattolici, occorreva «passare il Rubicone» che separa da un impegno attivo. Anche se, ne era consapevole, questo poteva portare ad un serio e grave rischio per la sua incolumità.
Un mese prima di essere barbaramente assassinato, l’8 luglio 1923, fu minacciato pubblicamente dai fascisti, in occasione della presentazione, ad Argenta, delle due nuove sezioni degli Esploratori Cattolici. Don Faggioli, fondatore della sezione scoutistica di Bologna e assistente ecclesiastico regionale dell’Asci, di fronte alle interruzioni del segretario del fascio locale Rocca che urlava dalla galleria «In piazza ad Argenta questi giovani non verranno», concluse il suo discorso celebrativo con un perentorio «Finché c’è don Giovanni, i giovani verranno anche in piazza!», strappando l’applauso accorato dei presenti. Ma la minaccia era nell’aria e i colpi mortali vennero sferrati meno di un mese dopo.
Il 23 agosto scorso, in occasione della commemorazione del novantasettesimo anniversario del delitto, le associazioni scoutistiche Agesci, Masci e Fse hanno consegnato all’arcivescovo di Ravenna-Cervia mons. Ghizzoni, un messaggio con la richiesta di apertura del processo di beatificazione. Il vescovo ha chiesto preghiere affinché l’iter possa compiersi.
«Prezioso testimone dell’educazione della gioventù ai valori cristiani della libertà e della pace – recitava il messaggio delle associazioni – che nonostante le minacce fasciste ebbe il coraggio di sostenere, don Minzoni fu testimone forte dello scautismo. Ma non solo: fu esempio di libertà, tolleranza e fede per tutti».
Come ricordò Enrico Bondanelli, il giovane che fu assalito quando il sacerdote fu ucciso, in un’intervista del 1973, don Minzoni «era solo un uomo che detestava la violenza da qualunque parte venisse, e che non tollerava le imposizioni nemmeno dai fascisti». La sua grandezza risiedette tutta qui: una carità coriacea innestata su una fede pura e una speranza semplice, quella del Dio che ama gli ultimi e vuole la salvezza dell’umanità, e che per questo sa reagire alla violenza con la forza di una vita che si dona.