Don Milani riconosciuto grande

Più che a un’irruzione dello Spirito Santo è stato spontaneo pensare ad uno scherzo di don Milani. Una trovata affettuosa, si badi bene, servita dal priore (come continuano a chiamarlo i suoi ragazzi) con perfetto tempismo, proprio nel momento solenne delle celebrazioni a lui dedicate a 40 anni dalla morte. Spiccio com’era, e poco incline alle ritualità, non sarà riuscito a trattenersi nemmeno questa volta. Così, nel momento in cui l’arcivescovo di Firenze, il cardinale Antonelli, s’è avvicinato al microfono per leggere il testo di un’omelia che avrebbe sottolineato le qualità di Milani, ecco che, d’improvviso, s’è alzato un vento gagliardo che ha investito lo spiazzo antistante la chiesetta di Sant’Andrea a Barbiana, dove erano raccolte oltre duecento persone da varie parti d’Italia. Il grande cipresso, a mo’ di un soldato sull’attenti, ha inclinato la cima, le vesti dei celebranti sono svolazzate, il cardinale ha dovuto stringere i fogli dell’intervento, mentre gli altoparlanti diffondevano – inattesa colonna sonora – il rumore delle folate che sbattevano nel microfono. Ci ha messo un po’, il vento, a calmarsi, e questo ha reso più attento l’ascolto di quella gente, giunta con una speranza: sentire parole di piena e definitiva valorizzazione della figura e dell’opera di un sacerdote e di un educatore molto in anticipo sui tempi, incompreso e osteggiato. L’aspettativa non è andata delusa. Milani era un sacerdote che ha avuto forti contrasti con il vescovo e con molti altri preti – ha premesso subito il cardinale -. Allora non era facile capire don Lorenzo. Oggi, vescovo e presbiteri siamo tutti concordi nel riconoscere il valore evangelico della sua testimonianza, il suo profondo radicamento ecclesiale. Milani lanciò uno slogan, in riferimento alla vita militare, divenuto famoso: L’obbedienza non è più una virtù, eppure nei confronti delle autorità ecclesiali fu obbedientissimo e spiazzò i suoi estimatori che in certe circostanze si sarebbero aspettati da lui una ribellione. La mamma di Milani, Alice, di origine israelita, ricordava che se non si comprenderà realmente il sacerdote che Lorenzo è stato, difficilmente si potrà capire di lui anche il resto. E il cardinale Antonelli ha voluto onorare la memoria di una grande sacerdote fiorentino , come ha tenuto a sottolineare. Scriveva il priore di Barbiana: In questa religione, tra le tante cose, importantissimo, fondamentale, c’è il sacramento della confessione dei peccati, per il quale, quasi per quello solo, sono cattolico. Per avere continuamente il perdono dei miei peccati. Averlo e darlo . Tanto che, delle mie idee non mi importa nulla, perché io nella Chiesa ci sto per i sacramenti, non per le mie idee. All’età di soli 44 anni, il 26 giugno 1967, morì, per un tumore che gli aveva tolto la parola – proprio a lui, efficace comunicatore -, un sacerdote che ha reso Barbiana (una chiesa, una canonica, venti case sparse tra i castagni lungo le pendici del Monte Giovi) nota nel mondo. Come rilegge la sua figura il vescovo di Firenze? Era assetato di verità, di assoluto, di dedizione incondizionata, di perfezione. Portava avanti con forza le sue idee. Suscitava dibattiti e conflitti. Ma alla fine era sempre prontissimo all’obbedienza. Si confessava anche più volte alla settimana. E ancora: È innanzitutto un grande uomo di fede. Si spiega così la sua appassionata azione evangelizzatrice ed educativa. Di qui nasce il suo singolarissimo impegno per la scuola. Intuì l’urgenza di quella che poi sarebbe stata chiamata da Giovanni Paolo II la nuova evangelizzazione . Infine: Esigeva trasparenza e coerenza da sé e dagli altri; combatteva con durezza i maestri di menzogna e chiunque si adagiasse nella mediocrità, chi mirava basso, diceva lui. Cita don Raffaele Bensi, direttore spirituale di don Lorenzo, che ben conosceva la persona: Trasparente e duro come un diamante, doveva subito ferirsi e ferire. E consegna, Antonelli, una frase a ricordo della giornata: Ecco davvero un grande cristiano in cui non c’è falsità. Si tratta di un riconoscimento pieno e autorevole. L’immediato applauso dei presenti sembra dire sia grazie, che finalmente!. Forse inizia una nuova stagione. Ma non è il caso di parlare di riabilitazione. Non serviva tanto. Piuttosto di valorizzazione – ci precisa don Renzo Rossi, classe 1925, compagno di studi teologici di Milani -. È conosciuto più come formidabile educatore che come grande sacerdote. Fu chiesto a don Renzo, nell’ottobre 1954, di andare a Barbiana, ma poi mons. Tirapani, vicario generale di un card. Dalla Costa ormai 82enne, decise per don Lorenzo, che vi arrivò il 7 dicembre. Quando subentrò il card. Florit, le cose non cambiarono. Anzi. Ricorda don Rossi che, anni dopo, commentò con l’arcivescovo che se, invece di prenderlo di punta, fosse andato a trovarlo e a parlarci a cuore a cuore, la vicenda sarebbe andata diversamente. Florit era un tipo timido, aveva, in un certo senso, paura di don Milani, e quindi non riuscì ad affrontarlo a tu per tu. Il cardinale si recò a Barbiana per un colloquio privato, ma il priore pose la condizione di un incontro alla presenza dei suoi ragazzi, perché riteneva indispensabile un attestato pubblico di stima dal vescovo. Non va dimenticato infatti, come ci riferiscono i suoi alunni di un tempo, che don Lorenzo fu ostacolato dalla gente di Barbiana, perché non sapeva le ragioni di quest’esilio . Veniva da una famiglia benestante fiorentina, aveva 31 anni, era colto e piacente. Perché Barbiana? Al montanaro era estranea la logica dell’esilio ecclesiastico – proseguono i ragazzi -. Era più portato al sospetto. E si chiedeva chissà cosa avesse fatto quel priore per essere stato mandato quassù. Dalla montagna, la gente ormai scendeva a valle. Le 90 anime della sua parrocchia non avrebbero fatto eccezione. Milani arrivò in una canonica senza acqua corrente e senza luce, senza speranza e senza futuro. Eppure, rammenta don Rossi, qualche giorno dopo il suo arrivo don Lorenzo andò da lui a Vicchio affinché lo accompagnasse in Comune a comprare il posto nel camposanto di Barbiana. Quanto sei bischero!, gli replicò, ma Milani spiegò che lo aveva mandato la Chiesa e voleva sentirsi legato per la vita e per la morte alla sua nuova gente. L’impiegato fece presente che i posti non erano in vendita, ma che non avrebbe dovuto preoccuparsi, perché con lo spopolamento della montagna, non sarebbe stato un problema trovare un posto. La scuola di Barbiana fu organizzata da don Lorenzo nel 1956 per i primi sei ragazzi che avevano finito le elementari. Era una sorta di scuola di avviamento industriale, poverissima, con un solo insegnante e, all’inizio, un solo libro di testo. I ragazzi a turno leggevano e Milani spiegava. Durava dalle 8 alle 19,30. Mai ricreazione, nessun gioco. Eppure, gli alunni erano contenti. Contenti di apprendere in un modo totalmente nuovo. Il priore dice che non potremo far nulla per il prossimo, in nessun campo, finché non sapremo comunicare , scrivevano. L’intento era formare degli uomini, dei cittadini sovrani per poter riparare alle ingiustizie. Qui tutto era scuola e scuola esigente. Erano scuola le visite, era scuola la lettura della posta e del giornale, erano scuola l’osservazione delle stelle, la lavorazione del legno e del ferro. Qui nacque la famosa Lettera ad una professoressa, che disarticolò le logiche dell’insegnamento tradizionale. La scuola si sciolse nell’ottobre 1968, ma la canonica rimase la casa di chi abitava con lui, di quell’Eda Pelagatti – donna straordinaria -, che con la mamma aveva seguito don Lorenzo nei suoi venti di sacerdozio. Quella presenza ha salvato la casa dal degrado dell’abbandono e ha mantenuto quasi intatto l’aspetto di quando c’era don Milani. Le aule della scuola, il laboratorio, la pergola per le lezioni all’aperto, la piscina per togliere a quei ragazzi di montagna la paura dell’acqua sono custodite dalla Fondazione don Lorenzo Milani, che ne ha fatto un percorso didattico, meta di numerose scolaresche. Il posto è ancora fuori mano. Anzi, isolato. Gradevole e gradito oggi, perché resta lontano da tutto, non certo allora. La stretta strada è stata asfaltata da pochi anni e sale sino ad un agriturismo, dove sembra finisca. Invece, se ne diparte, in leggera discesa, una stradetta ancora sterrata che porta, dopo qualche centinaio di metri, a Barbiana. È meta di un numero crescente di persone, in ogni giorno dell’anno. Per molti, don Lorenzo è il futuro, indica la via, e non solo per i cristiani. C’è bisogno infatti che le nostre comunità e il nostro Paese si incamminino sulla strada della ricerca, del rigore, della capacità d’includere tutti. Vicenda paradossale, quella di Milani, commenta Massimo Toschi, assessore della Regione Toscana, che incontrò don Lorenzo a Barbiana nel 1965. Considerato pericoloso come sacerdote, costituisce da anni un forte punto di riferimento per tanti credenti. Fu mandato qua per isolarlo da tutti, e Barbiana si è trasformata in un balcone da cui si è diffusa la sua parola. Dette vita ad una scuola privatissima, confessionale, eppure è diventata una grande lezione per la scuola pubblica. Sulla tomba di don Lorenzo giungono persone per pregare. Sarebbe stato meglio gli avessero voluto un po’ più bene da vivo, si lasciano scappare tre donne mentre escono dal piccolo camposanto. Le cose si chiariscono con il tempo, avrebbe detto poco più tardi il card. Antonelli. Ne conviene anche Michele Gesualdi, allievo della prima ora di don Milani e presidente della fondazione. Manca, però, una cosa da fare, ci dice, e racconta di aver chiesto all’arcivescovo un impegno preciso conseguente alla parole dell’omelia. Si tratta di sostenere la richiesta della fondazione per un atto che annulli il decreto del Sant’Uffizio del 1958, in cui veniva dichiarata inopportuna la lettura di Esperienze pastorali di don Milani e si invitava l’editore a ritirare il libro dal commercio. Annullare quel decreto sarebbe un segnale non formale ma sostanziale. Altro fronte, per Gesualdi, è quello di evitare che Barbiana si trasformi in un mercato nel tempio. Quando don Lorenzo era scomodo, aveva pochi amici. Ora, che tanti lo apprezzano, c’è chi vuole fare affari. Aumenteranno curiosi, turisti, mercanti. Non gli va giù pensare alla faccia di don Milani sulla plastificata mercanzia religiosa. Il banchetto con la trippa è stato più volte respinto. Nel giorno del 40esimo ha litigato con quelli dell’annullo filatelico: un timbro dietro una cartolina con l’immagine del priore è troppo per lui. Roba da far volare via il banchetto, per un tipo sanguigno come Gesualdi. Per poco, non ci riusciva quel vento improvviso. ULTIME NOTIZIE SUL PRIORE Per una conoscenza più approfondita della vita e della figura del priore è di particolare utilità il sito della fondazione don Lorenzo Milani (www.donlorenzomilani. it – 055.418.811), attraverso cui si può prenotare una visita guidata di Barbiana. In occasione del 40esimo della morte sono stati pubblicati alcuni volumi. Dalla nuova edizione delle Lettere di don Lorenzo Milani (San Paolo), curate da Michele Gesualdi, ex studente del sacerdote, a Don Milani, la vita, di Mario Lancisi (Piemme), da Don Lorenzo Milani (Società editrice fiorentina), dell’allievo Edoardo Martinelli, all’edizione speciale di Lettera ad una professoressa(Libreria editrice fiorentina), arricchita da uno spaccato del dibattito che seguì la pubblicazione.

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