Don Bosco
Raiuno, ore 21. 22- 23 settembre. C’era il rischio dell’ennesimo prete santino televisivo. Quello che fa audience con storie eroiche e fatti prodigiosi. Mescolandoci un po’ di storia e qualche incursione sull’attualità. Il Don Bosco, diretto con equilibrio da Lodovico Gasparini per una produzione internazionale (Lux Vide, Raifiction, Blue Star Movies, Lux Vide GmbH) è invece un lavoro ben fatto. Una sceneggiatura agile e stringata presenta una vicenda umana e spirituale con la naturalezza delle cose che nascono lentamente, aiutate dalle circostanze: sofferenze e gioie di un’impresa che, all’epoca (ma ancora oggi) mantiene una carica rivoluzionaria. Perché il prete piemontese ha un’arte tutta sua nel conquistare i giovani, gli vuol bene, fa loro scoprire la gioia di vivere, gli dà un posto nella società, con lo studio, il lavoro. Ma cresce pure insieme a loro, che ne condividono le battaglie, le incomprensioni dell’ambiente politico e anche ecclesiastico contemporaneo. Pure, alla fine don Bosco la spunta, con il suo messaggio di ragione, religione, amorevolezza. La fiction si apre con il prete in gravi condizioni, dopo una dura lettera papale e nel contesto del suo contrasto con l’arcivescovo di Torino. Si ritorna al passato, ai primi passi da ragazzo, al suo naturale talento artistico e pratico, alle occasioni che lo mettono in contatto con la gioventù abbandonata e disperata, ai margini della società. Don Bosco accoglie ragazzi, ma il suo Oratorio trova l’opposizione costante del vicario di città, il marchese Clementi. Pure, benefattori generosi spingono il prete a continuare ad accogliere decine di ragazzi: fra loro Michele Rua, suo primo successore, Domenico Savio, un puro di cuore – tratteggiato con delicatezza – e delinquentelli come Bruno, che dopo il carcere trova l’amicizia di don Bosco e lo sostiene con il suo temperamento focoso. Nel difficile periodo risorgimentale, il prete non molla il suo impegno: frequenta ogni ambiente, purché dia sostegno al suo lavoro, supera con la preghiera i momenti di sconforto. Alla fine, dopo che si sarà riconciliato con il suo vescovo, arriverà la conferma papale per la continuità della sua opera. Quel che ne esce è un uomo con le sue sicurezze e i suoi dubbi, le angosce, le debolezze e gli slanci, una fede formidabile ed una enorme carica umana e spirituale che lo rende un personaggio vivo e attuale. Merito della regia scrupolosa è di aver fatto sì che i personaggi venissero disegnati da tratti sintetici ed efficaci. Il protagonista, Flavio Insinna, delinea un don Bosco non solo credibile fisicamente ma nell’animo e nel carattere forte e sereno: forse i migliori momenti sono quelli in cui dà espressione al dolore. Convincenti Lina Sastri nel ruolo della madre Margherita, James Greene (l’amico don Cafasso), Charles Dance (marchese Clementi), Paolo Calabresi in un don Gastaldi compreso del proprio ruolo, e – oltre i circa 800 ragazzi dai 12 ai 18 anni (molti delle scuole inglesi di Roma) – giovani attori: Fabrizio Bucci, che disegna un Bruno forte ma tenero, e Andrea Bosca, in un Enrico timido e insicuro. Buona la scelta dei costumi e l’ambientazione storica, per una fiction che, nella pur inevitabile sinteticità, riesce alla fine a lanciare uno stimolo ad operare nella propria epoca per il bene.