Dominik il cròmero

La vicenda di un giovane pastore ricostruisce un’epoca e la cultura di una comunità montana. Un romanzo di formazione

Con Dominik il cròmero. Emozioni e fatiche di un giovane mòcheno (Valentina Trentini Ed.), Paolo Cova, docente di lingua e cultura tedesca esperto di comunità dell’arco alpino, ci fa rivivere con abbondanza di dettagli su usi e costumi di popolazioni diverse l’avventura di un pastore sedicenne timido e ingenuo, nato in una valle del Trentino centro-orientale – la Fersental o valle dei Mòcheni, così detta per la presenza di un’isola linguistica germanofona di origine medievale –; avventura che darà una svolta alla vita di Puecher van Totzi detto Dominik o anche Mìnale: così il nome e il relativo nomignolo ereditati dal padre, mai conosciuto perché dato per disperso.

La storia ha inizio nell’autunno 1807 quando Anton van Grutsche, padrino (teit) del ragazzo – un ambulante astuto e spregiudicato che ha il commercio nel sangue – impone al figlioccio di seguirlo nel suo prossimo viaggio di lavoro in quanto solo lui, capace di scrivere in italiano e far di conto, è in grado di sostituire la persona che svolgeva queste operazioni nei contratti di mercanzia con i fornitori. Si tratta, per Mìnale, di imparare lo stesso mestiere del padre e cioè quello del cròmero, tipico delle alte valli dove, per integrare il reddito di sussistenza derivante dall’economia rurale, gruppi di dieci-quindici elementi, una volta terminata con l’ultima fienagione l’attività dell’alpeggio, nella stagione fredda percorrono in lungo e in largo i territori dell’Impero austro-ungarico, di cui all’epoca fa parte il Trentino.

La loro specialità: vendere nelle piazze, fiere, sagre e osterie, raggiungendo anche i “masi” più isolati, immagini sacre dipinte su vetro, un prodotto molto richiesto di cui essi vanno a rifornirsi in Boemia. Solo che per questo mestiere sfiancante e non privo di pericoli, che tiene i cròmeri lontani dai loro cari fino agli inizi della primavera, e cioè alla ripresa dei lavori agricoli, il giovane Dominik non si sente assolutamente tagliato. Eppure non può opporsi al volere del suo teit, che gli rappresenta l’autorità del padre perduto, per cui deve rassegnarsi a indossare la già pesante kraks – la cassetta-custodia delle fragili immagini su vetro, che a pieno carico gli segnerà ancor più le spalle – e partire con gli altri verso quella Boemia di cui ha soltanto una vaga idea. Sull’itinerario lo informa il teit, suo istruttore su tutto: «È la regione più settentrionale della nostra monarchia. Bisogna attraversare il Tirolo e poi portarsi su fino a Salisburgo, poi ancora su oltre il Danubio e portarsi più su a nord-est fino a Linz. Una volta che sei a Linz, si è quasi arrivati, perché noi ci riforniamo a Buchers, nella Boemia meridionale».

Salutate la madre e le sorelle, inizia così per Dominik una interminabile serie di marce sotto ogni cielo, di pernottamenti presso locande o contadini, poi ricompensati con sementi e farina oppure con piccoli lavori, e al tempo stesso l’impatto con i discorsi liberi del teit e degli altri cròmeri riguardanti l’universo femminile. «Erano discorsi – commenta il giovane – che stridevano rispetto al monito di padre Joachim [il suo parroco] che esortava a tenersi alla larga dalle tentazioni della carne. Iniziavo a capire che nella nostra comunità la coerenza era solo una questione di facciata. Fuori della nostra valle, potevamo fare quello che volevamo, perché nessuno ci controllava». Questa prima delusione causata dal mondo adulto lavorerà a lungo su di lui. Ma il fastidio provatone varrà almeno a tenerlo lontano da ogni velleità di imitazione.

Durante il viaggio si susseguono le esperienze più diverse, e non sempre positive. Dopo Salisburgo, infatti, dove «era previsto un concerto di un’opera di un giovane musicista, Wolfgang Mozart, e tutta la nobiltà si stava recando in carrozza verso il teatro facendo sfoggio di ricchezza», il primo incidente avviene al posto di blocco sulla frontiera con la Boemia, dove, al momento di esibire i passaporti, i valligiani mòcheni scoprono che il documento imperiale che li privilegiava rispetto ad altri ambulanti dando loro il permesso di commerciare su tutto il territorio del regno, non vale più in quanto divenuti stranieri, non più sudditi degli Asburgo ma del re di Baviera. Fatto sta che, dopo la Pace di Presburgo stipulata a loro insaputa tra l’imperatore Francesco I d’Austria e Napoleone Bonaparte, il Tirolo di cui sono nativi è passato a quel regno. Ma l’imprevisto ostacolo non ferma il teit, che costringe il figlioccio a valicare nottetempo la frontiera e da lì raggiungere a Buchers, dove vive con la sua famiglia, un amico mòcheno che certo saprà come farlo uscire dai guai. Costui, infatti, lo mette in contatto con Vinzenz Cöck, il più importante produttore di immagini sacre su vetro di tutta la Boemia: sarà lui a ottenere dall’Ufficio distrettuale il lasciapassare per la compagnia di ambulanti. Questione di pochi giorni.

Intanto, proprio a casa dei Cöck, Dominik si sente attratto da Hannelore, una delle due figlie gemelle. L’autore riserva uno spazio notevole nel racconto all’innamoramento del giovane per questa avvenente fanciulla che sembra ricambiarlo. Che sia però destinata per il suo ceto sociale a sposare un riccone, il ragazzo arriverà a scoprirlo più tardi; per ora, costretto a ripartire con gli altri da Buchers, le studia tutte per tornare a portare un regalino alla sua bella, non senza la complicità del teit, che quando si tratta di donne si dimostra più indulgente verso le impennate del figlioccio.

Da qui in poi le cose si complicano per l’inesperto pastore, specie quando scopre che Hannelore, priva di un’educazione religiosa, è ben lontana dal condividere la sua stessa fede. Non solo: rivelandosi seguace del carpe diem, irride i dettati catechistici contenuti in un taccuino da cui Dominik non si separa mai, trovando in quegli scritti di padre Joachim aiuto nei suoi momenti di dubbio e di sconforto.

Molto ha imparato il giovane “mòcheno per forza” da un viaggio che, inizialmente subìto, a poco a poco s’è dimostrato una occasione preziosa per accrescere le sue conoscenze: paesi e regioni mai visti, genti e usanze nuove, scoperte strepitose come a Linz, sul Danubio, quella di un battello a ruote mosso dal vapore invece di essere trainato da animali sulle rive. Ma soprattutto è maturato nella conoscenza di sé stesso che, in piena inquietudine esistenziale per l’età, dopo tante prove si ritrova alla fine corroborato nella sua fede genuina.

Ormai siamo arrivati all’ultimo capitolo, con la compagnia di ambulanti già in vista delle montagne trentine. Ma sarà andata proprio così tutta questa storia? Per non togliere al lettore la sorpresa finale, sorvolo e consiglio invece di rivedere, come aggiunta esplicativa, il quinto capitolo di questo delicato romanzo di formazione.

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