Domenica è sempre domenica ?

Una sentenza della Corte costituzionale tedesca si mostra in controtendenza sull'apertura domenicale dei negozi. Una questione sociale, centrale e rimossa, da affrontare.
centro commerciale

“Aperto la domenica”. Campeggia con striscioni e luci la scritta sui muri esterni dei grandi magazzini. Nella città moderna, con i suoi quartieri dormitorio, sembra non ci sia nulla di più triste di una domenica senza negozi aperti. Il tutto viene considerato come un segno di libertà introdotta dal mercato.

 

Sembra inutile opporsi, se non addirittura controproducente, anche perché pochi vogliono combattere battaglie già perse in partenza.  E’ quello che trapela da alcuni commenti che hanno accompagnato la sentenza del primo dicembre 2009 emessa dalla Corte Costituzionale tedesca, che ha definito incostituzionale una legge del 2006 approvata dal Senato della città di Berlino che permette l’apertura domenicale dei centri commerciali per dieci domeniche l’anno, anche consecutive, comprese le quattro domeniche di avvento.  La decisione sarà operativa da quest’anno, ma è probabile che, prima del prossimo Natale, avverrà qualcosa che ristabilirà l’ordine costituito dello shopping festivo.

 

La questione merita di essere affrontata anche in un Paese come l’Italia dove, ad esempio, a Verona, città del pandoro, qualche centro commerciale ormai rimane aperto anche il 25 dicembre, con espressa contrarietà della diocesi locale e pronta risposta fornita dai dirigenti della grande distribuzione, che rimandano ad un gradimento certificato dei compratori. Anche analisi e rilevazioni di uno dei centri studi dell’università Bocconi, commissionati dalla Federazione degli imprenditori della distribuzione commerciale, registrano dal 2006 un incremento significativo e costante di consenso da parte dei consumatori verso l’apertura domenicale e festiva dei negozi. Gli studi citati prevedono un incremento del Pil nazionale dello 0,25 per cento ( pari a 3,96 miliardi di euro di consumi commercializzati) se si riuscirà a raggiungere l’obiettivo di un’apertura base di 26 domeniche l’anno.

 

Nel nostro Paese, infatti, la soglia minima assicurata dalla legge Bersani del 1998 permette l’apertura per 12 domeniche (8 nell’anno, oltre alle 4 del tempo natalizio), demandando alle Regioni e ai Comuni la possibilità di individuare ulteriori aperture seguendo la vocazione propria dei territori. Abbiamo così i comuni definiti di interesse turistico, dove si registra una apertura continuativa domenicale da maggio a settembre. Un anticipo del modello americano, che punta all’apertura 24 ore su 24, dove può sembrare strano, eppure le aziende produttici di programmi informatci per la  grande distribuzione hanno predisposto un tipo di registrazione dei flussi della clientela in grado di definire l’orario di lavoro degli addetti secondo una scansione diversa dal ritmo settimanale, incentrato sul riposo domenicale. L’orario è deciso dal programma di elaborazione dei dati. E’ chiaro che la convenienza per le aziende interessate si mantiene uniformando la retribuzione sui sette giorni, non riconoscendo maggiorazioni per le domeniche.

 

Di solito i lavoratori del settore sono i meno sindacalizzati. In certe aree geografiche, con tassi di disoccupazione preoccupanti, non si riesce ad esigere un effettivo rispetto dei minimi salariali.  Figuriamoci il rispetto dei riposi compensativi per i giorni festivi lavorati. Nelle analisi generali, come nella pratica quotidiana, non si è capaci di vedere il volto e la storia di chi ha una divisa di banconista o di addetto ai carrelli. Si è come costretti ad un ruolo di consumatore che diventa portatore di altri interessi nei confronti dell’anonimo addetto alle vendite. 

 

Eppure non si tratta solo del rispetto di una regola che sposta il giorno di riposo dentro la settimana, al posto della domenica. E’ la scomparsa di un tempo comune, collettivo di riposo, con le necessarie eccezioni di pubblica utilità. Una frattura molto più profonda di quella che si percepisce e che non può essere ridotta ad esigenze di carattere religioso. Lo ha definito con esattezza il presidente della Corte costituzionale tedesca che con il verdetto del primo dicembre del 2009, in una città definita la più laica, se non atea, d’Europa, si è arrivati ad affermare che «la persona umana va posta al di sopra degli interessi economici». Una sentenza, originata da un ricorso avanzato dai rappresentanti della Chiesa cattolica e di quella evangelica, contro una legge di stampo liberista varata da una coalizione di sinistra. Ce n’è abbastanza da far saltare in aria molti dei vecchi muri ideologici che sono ancora in piedi, non solo a Berlino. Così come il dogma della liberta individuale dell’impresa dalle imposizioni esterne deve contemplare anche la libertà del lavoratore, che subisce limitazioni da parte di poteri economici. E come salvaguardare la libertà di chi non può sottrarsi alla conflittualità di una concorrenza preponderante, come lamentano i rappresentati della piccola distribuzione?

 

E’ quello che hanno colto i delegati sindacali di Coop Estense e i responsabili di settore di Cgil, Cisl e Uil di Modena e Ferrara, che hanno indirizzato una lettera aperta , lo scosro 17 dicembre, ai vescovi locali e al presidente della conferenza episcopale dell’Emilia Romagna. Nel documento si sono perfettamente riconosciuti nelle considerazioni del presidente dell’Associazione dei cattolici tedeschi (ZdK), Alois Glueck. Questi, a proposito della decisione della Corte Costituzionale tedesca, ha affermato come «se si sottomette ogni cosa alla massimizzazione del denaro e dell’economia, arrivando alla totale economizzazione della vita, vengono distrutte tutte le dimensioni umane».  

 

 Questa riflessione nasce dopo un lungo periodo di riflessione all’interno del mondo del lavoro della grande distribuzione, che ha visto dolorose spaccature tra le sigle sindacali proprio sulla questione del lavoro domenicale e sulla constatazione che non si può rimanere all’interno delle trattative tra datori di lavoro e sindacato. Il tema richiede il coinvolgimento della società intera. La diocesi di Modena ha risposto,alla lettera pubblica dei sindacati, riconoscendo il valore e il significato della richiesta dei lavoratori che «non rappresenta la nostalgia arcaica di una società contadina che non esiste più, ma l’affermazione della priorità dell’uomo e delle sue esigenze più profonde anche nel mondo dell’economia, del commercio e della tecnica». Può essere un esempio di un rapporto laico dove la Chiesa è riconosciuta come la realtà capace di offrire il senso autentico, radicato in ognuno, di un tempo per l’uomo, nelle sue relazioni sociali e familiari. Ricordando che « il sabato è per l’uomo e non l’uomo per il sabato».

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