I dolori di un padre

I film sulla paternità non mancano di certo. Ma "Manchester by the sea", diretto con geniale sintesi da Kenneth Lonergan, non è da perdere. Perché è un film sulla paternità, però diverso dal solito

I film sulla paternità non mancano di certo. E la tendenza è quella di accentuare il difficile mestiere di padre. Perciò sempre più spesso ci si presentano figure complesse o stanche o violente o superficiali (specie da noi). Ma Manchester by the sea, diretto con geniale sintesi da Kenneth Lonergan, non è da perdere. Perché è un film sulla paternità, però diverso dal solito.

Nella grigia località sulla costa nord degli Usa, 5 mila abitanti, la vita della comunità scorre con le solite cose: lavoro, famiglia, bar. Lee Hander, tuttofare in alcuni condomini di Boston, è un animale umano chiuso, diffidente, talora aggressivo, inspiegabilmente. Un’aria triste gli si legge in faccia, è riservato, sa pure dimostrarsi  gentile. Ma cova dentro una tragedia che nessuno conosce. Alla morte improvvisa del fratello, Lee è costretto a tornare nel paese, dove gli si vuole affidare la tutela del nipote adolescente Patrick. Lui non la vuole, il nipote turbolento con cui da subito non va d’accordo, neppure. Troppe ferite da rimarginare, un lutto che non si riesce ad elaborare, la fatica di ricominciare e l’impossibilità di farlo: tutto questo si agita nella mente e nella vita di Lee. L’incontro con l’ex moglie, cui lo separa una tragedia del passato, accresce il  dramma e il dolore di un peso quasi insopportabile. Eppure lei lo ama ancora, ma Lee non ce la fa ad uscire dall’autopunizione che si è inflitto, non riesce a perdonarsi e a sperare.

La storia si accompagna ad una luce flebile, nuvolosa, ad atmosfere e colori spenti e alla recitazione vitale, sofferta e vera di Casey Affleck – fratello di Ben e più bravo di lui – e di Michelle Williams, attrice drammatica di forte impatto. Eppure, in una vicenda di colpa e di anelito a una redenzione che non arriva, tra dolori e incomprensioni dove ognuno è solo, il timido raggio di speranza affiora nelle scene di un quotidiano che parrebbe monotono, ma che la regia attentissima riesce a coprire di verità, sia nei momenti  struggenti – l’incontro di Lee con l’ex moglie –, sia nelle liti fra zio e nipote, sia nei flashback dolorosi che rimandano a un uomo felice e amorevole e sia nei momenti dove quest’uomo dagli occhi grigi vorrebbe far riemergere un poco di azzurro nel suo sguardo.

Il dolore della paternità perduta è vissuto interiormente, scavato per sottrazione – i gesti e le parole man mano più lenti e rari –. La poesia dell’impossibilità sta nel racconto di un povero Cristo solo e pieno di dolore e perciò ancor più commovente. Perché di storie come questa ce ne sono tante. Ma non sempre si  riesce a raccontarle con tanta misura, delicatezza e, diciamo la verità, con tanto amore e rispetto.

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