Dodici volte Roma
E così la festa – non più definitivamente festival – è arrivata. Alcune novità: niente concorsi, 38 film in selezione ufficiale (sembrano scelti bene da Antonio Monda e amici), uno spazio a “Tutti ne parlano”, dedicato a lavori dal sorprendente esordio internazionale (fra cui The Party di Sally Potter), la sezione semi-indipendente Alice in città – finora la più originale -, gli incontri con star nostrane (Gigi Proietti per omaggiare Roma insieme a Nanni Moretti e a Fiorello) e straniere ( il giovane regista Xavier Nolan, l’attore Jake Gyllenhaal, David Lynch premio alla carriera, Vanessa Redgrave, Christoph Waltz), e poi le retrospettive sulla “Scuola italiana di cinema” (De Sica, Petri, Rosi, Pasolini, Visconti), i film “restaurati” (Miseria e nobiltà, Sacco e Vanzetti…) e l’omaggio a Totò. E molto altro, per far contenti tutti alla festa. Finalmente senza le solite polemiche con Venezia e Torino, fino al 5 novembre.
Inizio alla grande con un film di notevole spessore, Hostiles diretto da Scott Cooper. Si rivista il vecchio Far West alla fine dell’Ottocento nella storia del capitano Christian Bale che malvolentieri accetta di riportare un capo Cheyenne – che gli ha dato filo da torcere – ma ormai è morente, nella sua terra natia. È un viaggio di incontri variegati – una vedova cui sono stati uccisi dagli Indiani marito e i figli, un soldato omicida, cacciatori, proprietari terrieri – in cui si dispiega il contrasto fra la civiltà dei “nativi” e la violenza subita da loro da parte dei “bianchi” e da loro ripagata. Storie di crudeltà reciproche, di rancori forti: tutto si legge nel volto vissuto, indurito del capitano ed in quello smarrito, o indeciso, o pietoso dei suoi uomini.
La dignità del vecchio capo indiano fa da contrasto alla lucida spietatezza cui il capitano è giunto, reduce da tanti massacri di cui non sente pena, perchè fa parte “del suo lavoro”. Al contrario, in qualche soldato si fa strada il rimorso e la richiesta di perdono ai “nativi”. Ma questa Odissea più interiore che fisica fa introdurre delle crepe nell’animo del capitano, man mano che il gruppo errante attraversa paesaggi meravigliosi tra giorni e notti, piogge e caldo, splendidamente fotografati, e man mano che il racconto, lento ma non lentissimo avanza. I gesti, le parole scarne, gli incontri con la morte e il sangue si allungano minuto dopo minuto. Così il film diventa un riflessione sul bene e il male, la vita e la morte, la responsabilità dei genocidi (il rimorso attuale degli Usa,almeno di una parte), la necessità del perdono prima di tutto a sè stessi che anche al rude capitano è chiesta. Un epos interiore, dallo stupendo inizio drammatico a momenti di lucidità scespiriana, a dolcezze inusitate e alla scoperta delle lacrime che fanno tremare anche il roccioso capitano. Christian Bale offre una interpretazione di straordinaria incisività, ma tutto il cast è “dentro” alla storia che si presta ad una sconcertante attualità. Perchè le ingiustizie di ieri perdurano anche oggi, e non solo negli Usa lasciando l’amaro ricordo del sangue.
A fianco del festival, continuano le uscite in sala, omaggiando il thriller.
Glenn Close, Terence Stamp , Gilliam Anderson e Julian Sands sono insieme in Mistero a Crooked House di Gilles Paquet-Brenner, tratto dal best-seller di Agatha Christie.
Il miliardario greco Loenides, una sorta di Onassis, viene trovato morto nel castello inglese dove abita coi parenti. Chi è l’autore del delitto? Se lo chiede la nipote – ed erede – Sophia e lo chiede all’investigatore Charles (Max Irons), giovane, suo ex amante e molto british. I sospettati sono tutti, perchè ciascuno in quella casa ha motivi per essere l’assassino, dato il clima astioso che vi regna. Molto ben girato, con stile ed eleganza, e recitato egregiamente (Glenn Close brilla su tutti), il film è una indagine psicologica raffinata sui meccanismi familiari incattiviti, sino alla sconcertante conclusione. Una volta tanto un trhiller che ricorda altri lavori ispirati ad Agatha come Assassinio sul Nilo.
Altro ambiente ed epoca invece nell’americano Good Time dei fratelli”indipendenti” Josh e Benny Safdie. La storia in sè è piccola: Nick è ritardato mentale, ma non suo fratello Connie che rapina una banca a New York, scappa, si imbatte nella notte nelle persone sbagliate e gli va tutto storto. La notte (o i giorni che sembrano notti come gli ambienti chiusi) è luogo temporale ma anche psicologico. Dove la coppia si muove come fantasmi elettrici ad un ritmo adrenalinico, reso ancor più folle dalle riprese panoramiche dall’alto (la fuga disperata di Connie) e dalla musica sperimentale. Connie è un Robert Pattinson non più vampiro, ma attore a tutto tondo, perfetto per questa parte di emarginato. Un trhiller diverso dal solito, sprizzante energia e ironia amarissima sugli psichiatri che curano il povero fratello di Connie.