Documento Abu Dhabi, un punto fermo
È trascorso un anno dalla storica firma del Documento di Abu Dhabi, come viene ormai comunemente chiamata la Dichiarazione sulla fratellanza umana, firmata lo scorso anno nella capitale degli Emirati Arabi da papa Francesco e dal grande Imam di al-Azhar, al-Tayyeb. La data non può passare inosservata anche perché la storica firma e l’anniversario cadono in quella “Settimana per l’armonia” voluta dalle Nazioni Unite ed il documento in sé offre una vera road map a chi crede alla costruzione di un rapporto armonico fra popoli, culture e religioni come risposta alla “Terza guerra mondiale a pezzi” che, in qualche modo, tutti stiamo vivendo.
Non si può negare che il documento abbia suscitato reazioni diverse, a volte contrastanti, ed anche, da parte di molti, un silenzio preoccupante perché espressione di indifferenza. Sia da parte cristiana che musulmana, comunque, non è possibile ignorare una serie di reazioni positive che fanno ben sperare. Come fa notare oggi un commento apparso su Vatican News, sono in molti a sottolineare che la Dichiarazione ha aperto nuovi orizzonti e non solo per il dialogo tra cristiani e musulmani. L’organo vaticano riporta che il ministro degli Esteri degli Emirati Arabi, lo sceicco Abdallah Ben Zayed al-Nahyan, ha sottolineato come l’incontro del papa con il grande imam di al-Azhar abbia segnato una fase nuova nelle relazioni fra le religioni. E questo non resta limitato all’ambito dei rapporti fra i musulmani e i cristiani.
Lo si è visto anche durante il viaggio in Thailandia e in Giappone che ha concluso un 2019 ricco di viaggi papali – Abu Dhabi, ma anche Marocco, Mauritius e Macedonia – improntati al dialogo interreligioso. Negli interventi sia a Bangkok che a Hiroshima e Tokyo, Bergoglio ha più volte citato il testo della Dichiarazione dimostrando – e questa è una vera novità storica – come essa sia parte ora del patrimonio e della tradizione della Chiesa cattolica. Il documento, quindi, il primo ad essere firmato da un papa con un autorità religiosa di un’altra fede, entra a far parte del bagaglio ecclesiale che verrà tramandato nei secoli, come punto di riferimento.
Durante tutto il 2019 si sono, poi, susseguiti incontri, convegni, conferenze ed eventi di diverso tipo che hanno teso a riflettere su questo testo e sulle sue implicazioni a livello teologico, ma anche socio-politico e culturale. Spesso si è trattato anche di eventi locali, espressione di uno sforzo di incontro a livello di comunità su un territorio circoscritto. Mi è capitato personalmente di essere chiamato a presentare la Carta in contesti rurali dove la popolazione da mono-etnica e mono-culturale e religiosa si sta trasformando in una pluralità spesso scomoda e, comunque, non sempre facile da gestire.
A fronte di questo, non sono mancate espressioni ad alto livello. Lo scorso mese di dicembre, per esempio, i membri del Comitato superiore per raggiungere gli obiettivi contenuti nel Documento sulla fratellanza umana, guidati dal cardinale Miguel Ángel Ayuso Guixot, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligiso, e dal giudice Muhammad Abd al-Salam, hanno incontrato a New York il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres. Gli hanno consegnato un messaggio di papa Francesco e del grande imam di al-Azhar in cui si propone di dichiarare il 4 febbraio Giornata mondiale della fratellanza umana e il segretario dell’Onu ha manifestato apprezzamento e disponibilità per l’iniziativa.
Non sono mancati anche momenti di riflessione a livello accademico. La scorsa settimana, presso il Centro La Pira a Firenze, si è svolta una importante iniziativa che ha accolto momenti di riflessione sul documento ma anche una firma comune a una dichiarazione di collaborazione e fraternità da parte del card. Betori e dell’imam Izzedin Elzir. L’evento ha avuto un notevole impatto mediatico e gli organi di stampa e le televisioni locali hanno rilanciato contenuti ed immagini del momento vissuto all’interno di una istituzione – il Centro Giorgio La Pira appunto – che da più di quarant’anni è luogo e strumento di integrazione e dialogo.
Il documento, poi, ha un significato importante nel processo preparatorio per l’evento del prossimo maggio per la firma di un Patto educativo globale che vede impegnati rappresentanti di diverse religioni. Questa manifestazione storica si terrà a Roma con un programma di più giorni che coniugherà la riflessione accademico-educativa alla presentazione multimediale, orale e di buone pratiche e di success story in diverse parti del mondo e nel contesto di diverse culture.
Ovviamente non sono mancate le critiche sia in ambito cristiano che in quello musulmano. Un amico islamico degli Usa, afro-americano, che ho incontrato a Roma nel giugno scorso, mi ha raccontato di come negli Stati Uniti la carta firmata dal papa e dal grande imam di al-Azhar non abbia avuto alcuna risonanza. Altri ambiti dell’Islam hanno accusato l’imam egiziano di aver ceduto alla Chiesa cattolica, mentre da parte del mondo sciita sostanzialmente permane un silenzio quasi totale in merito al documento.
In una intervista particolarmente efficace, Bergoglio ha dichiarato che è necessario un secolo per riuscire a metabolizzare un evento come il Concilio ed ha commentato che, quindi, siamo solo a metà strada. Si potrebbe mutuare anche per la Dichiarazione di Abu Dhabi quanto il papa ha detto per l’evento conciliare. Un anno non è molto per una dichiarazione che ha sconvolto tradizione e consuetudini. Certo, che siamo chiamati tutti a essere canali di diffusione e realizzazione di quanto la carta dichiara perché le sue raccomandazioni non restino utopia ma possano realizzarsi nel quotidiano e sul territorio.