Doccia fredda per gli azzurri
Gioco inefficace, attacco sterile, poca lucidità. Eppure Lippi invita ad avere ancora fiducia.
Agli azzurri, dopo lo sconfortante pareggio con i kiwi neozelandesi non è toccato nemmeno un bagno caldo di consolazione. Al ritorno negli spogliatoi è mancata loro persino, per almeno mezz’ora, l’acqua calda: doccia fredda sul campo, doccia fredda negli spogliatoi.
Dopo due partite opache e deludenti, schiacciati da uno sconcertante imbarazzo, gli azzurri non sanno capacitarsi, né in campo, né ai microfoni. Nel mare in tempesta, il timoniere Marcello Lippi, nonostante ci metta con immutata convinzione l’anima ed ora anche la faccia, pare sempre più in difficoltà a fornire spiegazioni su quale sia la rotta. Solo per qualche giorno ancora, fino all’appuntamento con la Slovacchia, nessuno potrà negargli solidarietà e fiducia.
Nervoso, indispettito, sempre più spesso scocciato di fronte alle domande dei giornalisti, il condottiero rimane ammirevole per serietà e fiducia nel proprio lavoro e nei propri ragazzi. Certo, se, per giustificarsi, deve ammettere «io ho provato tutte le armi a disposizione», non ha torto chi comincia a temere che voglia ammettere che nemmeno lui sa più quale sia la formazione migliore. Mai efficaci nell’uno contro uno, lenti e prevedibili nella costruzione del gioco, arroccati come se giocassero contro i più forti del mondo e non contro la settantottesima squadra della classifica mondiale. E poi due palle in area in due partite e due goal presi. A chi gliene chiede ragione Lippi risponde, candido: «Non è una cosa bella, ma mi piace pensare che sia casuale». Non è un caso: sono almeno due.
Incalzato a trovare una spiegazione plausibile alla fallimentare, finora, missione azzurra, la risposta di Lippi è parsa sconcertante: «Non è che si può avere una spiegazione a tutto». Se non ce l’ha lui…
A chi gli chiede di regalare una speranza agli oltre 20 milioni di fedelissimi telespettatori italiani, Lippi risponde, convinto: «La serietà, la voglia sono il mio regalo». Per questo non accetta chi contesta le sue scelte, invitando tutti a trattenere il giudizio, replicando di essere convinto che non siano rimasti a casa dei fenomeni che avrebbero fatto andare le cose diversamente.
È fin troppo facile contraddirlo, ora che le cose vanno male, ma qualche piede buono per la difesa, giovane più di Cannavaro, se non proprio un fenomeno, ce l’abbiamo già in panchina (Bonucci, Bocchetti) e per l’attacco, qualche mezzo fenomeno (Borriello, Miccoli) e qualche fenomeno (se Balotelli è valutato 40 milioni, quanto mezza nazionale, ci sarà un motivo?) in attacco l’abbiamo lasciato andare in vacanza troppo in fretta. Per non parlare di Cassano senza il quale, come qualcuno ha scritto, Pazzini pare una bicicletta senza la sua catena e non va da nessuna parte. Figure indisciplinate? Personaggi incapaci di fare gruppo? Individualistici talenti? È da quando esiste il calcio che il problema si pone: sta di fatto che proprio chi riesce ad amalgamare concretezza e fantasia, prima o poi, vince.
Ora tutte le speranze di andare avanti (ma fin dove?) sono legate ad un successo sulla Slovacchia, apparsa in tutta la sua modestia contro il Paraguay. Ma attenti alla possibile sorpresa, perché l’Italia è riuscita a far sembrare leoni anche i kiwi. Chi non si arrende all’evidenza di una squadra che di partita in partita dimostra i suoi limiti, di gioco e di talento, può continuare a credere che… qualcosa potrebbe sempre accadere, che a volte si parte male, ma poi d’improvviso tutto comincia a girare…Si può ad esempio aggrapparsi al fatto che, se non riuscissimo a battere gli slovacchi, potrebbe anche bastarci un pareggio, a patto che il Paraguay vinca o almeno pareggi con la Nuova Zelanda: in fondo anche l’Italia di Bearzot ha vinto in Spagna nell’82 dopo tre modesti pareggi nel girone… Ma se finiscono in pari entrambi questi scontri, il nostro pareggio deve avere un timbro particolare: deve concludersi con un numero di goal superiore a quello dell’incontro parallelo. E se pareggiano tutte con lo stesso numero di goal? Il nostro destino (e quello degli slovacchi al debutto mondiale) sarebbe legato alla sorte di una monetina lanciata per aria. Saremo così deludenti, ingenui e sfrontati, da sfidare la sorte a tal punto?
Se la qualificazione è ancora matematicamente possibile, il primato nel girone, se il Paraguay non si suicida con la nuova Zelanda, è fuori dalla nostra portata. Ed il secondo posto, sempre se arriva, significa spedire la squadra nella parte sbagliata del tabellone. Col primo posto il corridoio si apriva su Danimarca o Giappone, e poi Svizzera o Portogallo: il secondo porta in dote Olanda e poi Brasile. Meglio non pensarci.