Dobbiamo costruire il futuro
In ricordo della Shoa manifestazioni ed iniziative religiose e culturali che accomunano, in un implicito “mai più”, ebrei, cristiani e mondo laico. Intervista al rabbino capo di Firenze Joseph Levi
Sono numerose le attività previste in questi giorni in occasione della Giornata della memoria, sia sul piano religioso e spirituale che strettamente culturale. Dvd editi ad hoc da gruppi editoriali e giornali, programmi televisivi, tavole rotonde, convegni, articoli. Ed è sempre utile fermarsi un momento nel turbinio delle attività quotidiane per riflettere fin dove può arrivare il male. Anche perché l’umanità ha continuato a conoscere genocidi che, anche se non hanno raggiunto la sistematizzazione della Shoa, macchiano allo stesso modo la convivenza, dalla Cambogia ai Grandi Laghi in Africa alla ex Jugoslavia. Lo scrittore Abraham Yehoshua, in un articolo apparso su un quotidiano, avverte: «Dobbiamo fare attenzione a non perdere il senso della misura, a non misurare tutto in rapporto con l’Olocausto. Poiché dietro di noi c’è una sofferenza così terribile, che potremmo essere indifferenti a ogni sofferenza meno violenta della nostra».
“Il sonno delle coscienze partorisce mostri”, ammoniva il pittore spagnolo Goya in una delle sue celebri acqueforti. Dunque è bene ricordare. Ne parliamo con Joseph Levi, rabbino capo di Firenze.
Qual è la ragione per la quale ci troviamo a ricordare la Shoa?
«Questa Giornata della memoria è importante perché è successa una cosa inaudita nella storia moderna dell’Europa e quindi dell’umanità. Pertanto, serve come un monito innanzitutto per il futuro. Dobbiamo essere consapevoli dei meccanismi e delle ideologie che hanno portato a una tale “meccanizzazione dell’uomo”, per fare in modo che le nostre strutture, le nostre coscienze, il nostro comportamento quotidiano sia in grado di evitare la possibilità che si arrivi ad una tale malvagità e indifferenza nei confronti del lato umano, e se vogliamo anche divino, della nostra esistenza».
Fare memoria non è solo fermarsi al passato…
«Nel contesto ebraico la memoria e il ricordo sono rivolti sempre al futuro. Noi abbiamo il dovere biblico di ricordare sempre chi erano i nostri padri, per sapere come poi costruire il nostro futuro. Ricordare che schiavi fummo in Egitto, e dunque, sapere come comportarci con i convertiti e con gli stranieri in modo equo e giusto»
È un fatto che occasioni come la Giornata della memoria o la “Kristal nacht” siano momenti che viviamo assieme, ebrei e cristiani
«Nutro la grande speranza che, attraverso questo evento tragico dell’eliminazione di milioni di persone, ci si possa rendere conto di che cosa sia stata la Shoa, il trasferimento di milioni di persone da una parte all’altra del continente e la loro eliminazione con il gas, quindi con metodi anche meccanici. Spero veramente che questo significhi un punto di svolta totale nei rapporti tra ebrei e cristiani ed anche con le altre religioni. Perché possiamo avere credenze diverse gli uni e gli altri, ma non possiamo permetterci di usare tale ostilità tra di noi perché questo significherebbe non solo la distruzione dell’umanità, ma anche dell’immagine divina insita in ogni persona ed in ogni uomo come tutti crediamo»
Si sente fiducioso riguardo a questo processo?
«Penso di sì e lo spero molto. La storia non sempre ci dà ragione o non sempre dà ragione a quelli che vedono il percorso dell’umanità motivato dal bene. Ed è uno dei problemi di fronte a cui l’Olocausto ci pone: come mai a volte il male riesce a vincere in modo cosi spettacolare»
Il male presuppone anche il “mistero” nella dimensione religiosa…
«Dal punto di vista ebraico non siamo di fronte a un mistero, perché il male è sempre opera dell’uomo, non segue le comunicazioni etiche della Bibbia e, quindi, ne consegue che l’uomo sia responsabile delle sue azioni e dei disastri che crea».