Diwali e tensioni sociali

La festa indù delle luci si svolge mentre l’ideologia Hindutva chiede una nazione confessionale basata sull’induismo. È la reazione alla notizia che per la prima volta la comunità musulmana cresce più dei fedeli indù. La protesta del massimo scienziato indiano
Diwali

In questi giorni milioni di indù si apprestano a celebrare la loro festa principale, il Diwali, la festa delle luci. L’India si fermerà per una settimana di fantasmagorie luminose, di pujas (momenti di culto rivolti soprattutto alla dea Lakshmi), di celebrazioni familiari e comunitarie. Diwali in India non è solo la celebrazione degli indù, è anche un fatto culturale e sociale che coinvolge tutto il Paese, sia pure con diversità a secondo degli stati e della prevalenza religiosa.

 

Conosco famiglie cristiane cattoliche che, come gli indù, nella Mumbai, capitale economica e finanziaria del gigante asiatico, in questi giorni lasciano le porte delle loro case aperte perché se la dea Lakshmi volesse entrare a portare soldi e benessere si possa sentire accolta e non respinta.

 

Il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, nella persona del suo presidente, il card. Jean Louis Tauran, e del suo segretario, padre Miguel Ángel Ayuso Guixot, ha indirizzato a nome di papa Francesco un messaggio augurale al quasi miliardo di seguaci delle religioni del Sanatana Dharma, come in realtà viene definito quello che gli occidentali hanno chiamato induismo. Il messaggio si concentra sull’auspicio che cristiani e indù – insieme con le persone di tutte le altre tradizioni religiose e di buona volontà – si sforzino per “nutrire una cultura che promuova l'ecologia umana. In tal modo vi sarà armonia dentro di noi, e nelle nostre relazioni con gli altri, con la natura e con Dio, e questo "favorirà la crescita dell’albero della pace".

 

In effetti, il messaggio porta un titolo in sintonia con Laudato Sii, la recente enciclica di papa Bergoglio: “Cristiani e Indù: Promuoviamo insieme l'ecologia umana”. Il testo augurale invita a prestare particolare attenzione alla dimensione ecologica che “affronta la relazione e la responsabilità degli esseri umani nei confronti della terra e dell'attenzione alle ‘virtù ecologiche’. Tra queste si può enumerare l'uso sostenibile delle risorse della terra mediante l'adozione di politiche, nazionali e internazionali, rispettose dei nessi e dell'interdipendenza tra esseri umani e natura. Si tratta di questioni importanti non solo oggi per la salute della nostra Terra, che è la casa della famiglia umana, ma pure per le generazioni future”.

 

Il messaggio sottolinea il “nesso inscindibile” tra la nostra armonia con il creato e la pace reciproca: “dobbiamo, insieme e come singoli, adoperarci consapevolmente ‘alla cura della natura, alla difesa dei poveri, alla costruzione di una rete di rispetto e di fraternità’”. In sintonia con questo, il documento inviato dal Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso fa un importante riferimento ai rapporti interumani, che restano vitali anche per una sana dimensione di cura del creato. “Uniti dalla nostra umanità e dalla reciproca responsabilità, come pure dai valori e dalle convinzioni che condividiamo, possiamo noi, indù e cristiani, insieme con le persone di tutte le altre tradizioni religiose e di buona volontà, nutrire una cultura che promuova l'ecologia umana. In tal modo vi sarà armonia dentro di noi, e nelle nostre relazioni con gli altri, con la natura e con Dio, e questo "favorirà la crescita dell’albero della pace”.

 

A fronte di questi auspici, va notato che l’India attraversa un periodo complesso proprio in riferimento alla pace e all’armonia sociale. Da tempo, infatti, si moltiplicano episodi di intolleranza sociale con ripercussioni gravi nei confronti sia delle minoranze religiose che dei dalits (i fuori casta). Nelle scorse settimane il Rashtriya Swyamsevak Sangh (Rss), gruppo di stile paramilitare che, di fatto, rappresenta l’ideologia seguita dall’attuale Primo Ministro Narendra Modi e dal suo partito (Bharatya Janata Party) ha presentato una richiesta al governo centrale dell’India di riformulare la politica nazionale sulle popolazioni al fine di evitare lo “squilibrio demografico” che potrebbe venirsi a creare a causa della crescita del numero dei musulmani e dei cristiani.

 

Alla radice di questa prospettiva sta l’ideologia dell’Hindutva che mira alla costruzione di una “nazione confessionale basata sull'induismo”. A causare questa proposta nei confronti delle minoranze religiose, è stata la pubblicazione ufficiale, avvenuta a fine agosto, dei dati del censimento del 2011, che segnalano per la prima volta un incremento della comunità musulmana superiore a quello dei fedeli indù. L’istituto di indagini statistiche ha calcolato che tra il 2001 e il 2011 i fedeli islamici sono aumentati dello 0,8%, passando da 138 milioni a 172,2 milioni; la comunità indù invece si è fermata allo 0,7% di crescita, con 966,3 milioni di seguaci su 1,211 miliardi di persone; la crescita dei cristiani si è assestata al 15,5% con 27,8 milioni di fedeli.

 

Quindi per la prima volta in India – che è il maggiore Paese indù al mondo – la popolazione induista è scesa sotto il tetto dell’80% sul totale dei fedeli, fermandosi ad una percentuale di 79,8 punti mentre i musulmani, a livello nazionale, sono saliti dal 13,43% al 14,23%. Infine la popolazione cristiana rappresenta il 2,3% della cittadinanza e i sikh l’1,7%. Nella risoluzione adottata dal gruppo si legge inoltre che “l’enorme differenza nel tasso di crescita tra i gruppi religiosi, l’infiltrazione e la conversione hanno causato lo squilibrio, soprattutto nelle aree di confine”, che potrebbe minacciare “l’unità, l’integrità e l’identità del Paese”.

 

Contemporaneamente si sono susseguiti episodi di violenza, in alcuni casi anche con vittime, contro musulmani o dalits accusati di consumare o di conservare carni di bovini. Le intemperanze, soprattutto nelle regioni settentrionali, hanno creato tensione sociale e paura, ma anche una reazione, probabilmente inattesa dal partito al governo e dalle istituzione di ispirazione fondamentalista indù. A conferma di questo, numerosi intellettuali sono scesi in piazza per dimostrare contro la politica del governo accusato di fomentare un clima di intolleranza religiosa.

 

Fra questi ha suscitato grande scalpore la decisione del dott. Pushpa Mittra Bhargava, uno dei massimi scienziati indiani, di riconsegnare il premio Padma Bhushan, il massimo riconoscimento assegnato dal Presidente dell’India a cittadini che si distinguono “nell’alto servizio reso alla nazione”. Lo scienziato ha giustificato il passo come forma di protestanei confronti delle istituzioni che non sono in grado di difendere la tolleranza sociale dai fondamentalisti indù. “La Costituzione indiana ci richiede un atteggiamento scientifico e un impegno alla ragione”.

 

Ma gli estremisti che sostengono l’Hindutva uccidono scrittori laici, musulmani e chi dissente dalla loro visione di “nazione indù”, ha dichiarato Bhargava, che è stato seguito da numerosi altri intellettuali. Lo scienziato ha aggiunto: “Il governo si sta allontanando dalla via della democrazia per muoversi sul sentiero della religione e fare del Paese un’autocrazia religiosa indù”. “La nostra Costituzione – conclude – ci richiede di avere un atteggiamento scientifico e un impegno verso la ragione”. Negli ultimi giorni sono scesi in piazza anche attori e protagonisti di Bollywood, la famosa industria cinematografica indiana con sede a Mumbai, che hanno una influenza sociale forte per via dell’impatto che la cinematografia ha sulla società indiana.

 

Questa la complessa situazione del gigante asiatico che si appresta a celebrare la sua festa delle luci e che, forse ha scordato, quanto il Mahatma Gandhi ancora nel 1919, aveva dichiarato: “Per me la giustizia nei confronti dell’individuo, fosse anche il più umile, è tutto. Il resto viene dopo”.

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