Disobbedienza civile e non violenza oggi

Un dialogo aperto sull’invito alla lotta pacifica e non violenta proposta da papa Francesco come stile dell’impegno politico. Intervista a Mao Valpiana, presidente dal 2000 del Movimento nonviolento fondato da Aldo Capitini  
ANSA/UNICEF

L’invito di papa Francesco ad adottare la nonviolenza come scelta politica scatena eserciti di interpreti pronti a relativizzare e contestualizzare un messaggio che è invece molto chiaro ed esigente.

Per poter dare spazio ad un dialogo non superficiale cominciamo con Mao Valpiana, da poco rieletto alla presidenza del Movimento nonviolento fondato nel 1962 da Aldo Capitini (1899-1968).

Il promotore della Marcia Perugia Assisi è presentato comunemente come uno dei fondatori del pacifismo in Italia, definizione molto riduttiva per Capitini, filosofo morale dal pensiero complesso, capace di incidere nella nostra storia e cultura a partire dalla profondità delle ragioni esistenziali che tuttora riesce a suscitare.

Capitini, perugino intriso di francescanesimo, esprimeva una forte concezione religiosa esplicitamente non cristiana ma tale da far insorgere una riscoperta evangelica in molti credenti. Lo stesso può dirsi per l’influenza del suo antifascismo radicale che gli costò il posto da segretario generale della prestigiosa Università Normale di Pisa ma non lo fece entrare nell’assemblea costituente per la sua scelta di non aderire ad alcuna forma partito.

Incontriamo Valpiana pochi giorni prima della scomparsa di Antonio Papisca, un grande giurista difensore dei diritti umani che, tra l’altro, riuscì a no far condannare il giovane Mao e altri amici per il blocco non violento dei carichi di armi destinati alla prima guerra in Iraq negli anni Novanta. Quell’azione nonviolenta di disobbedienza civile rappresentava, secondo Papisca, «un’affermazione di legalità internazionale», oltre ad «una feconda lezione di etica universale», anticipazione politica di «legittimi comportamenti governativi» ancora attesi.  Ecco cosa abbiamo chiesto a Valpiana come contributo ad un dialogo da continuare.

Cosa significa, oggi, il richiamo di Francesco alla politica della nonviolenza?

La nonviolenza deve presentarsi a livello di dibattito pubblico in termini della sua efficacia, cioè se funziona o meno. Non solo dunque nella sua giustezza e bontà. Quando le superpotenze decidono di investire sulle armi, lo fanno per motivi ideologici/ economici o in base alla loro efficacia? Oggi i nodi strategici militari e della politica estera non possono essere risolti con sistemi d’arma che chiedono decenni di programmazione inadatti a equilibri geopolitici che mutano velocemente. I famosi caccia F35, ad esempio, saranno messi a punto dopo circa 30 anni dalla loro ideazione. Così bisogna chiedersi l’utilità effettiva di mantenere la Nato se poi gli effetti sono quelli prodotti in Libia o nel caos siriano. La nonviolenza ha per lo meno lo stesso grado di fallibilità. Per questo abbiamo proposto e cominciamo ad ottenere il riconoscimento dei corpi civili di pace come esercizio di difesa della Patria.

Sta di fatto che l’ipotesi di un intervento armato resta necessario per fermare l’aggressore. Lo si chiami giusto o meno, non si può restare inerti davanti ad esempio ai massacri operati dall’Isis. Molti della sinistra esaltano l’azione militare contro l’Isis da parte delle donne curde a Kobane e molti dei cristiani siriani affermano che solo il massiccio intervento russo li ha salvati dai guerriglieri sostenuti, direttamente o indirettamente dagli occidentali…

Dalla Resistenza in poi questa è la questione che non si può eludere e nell’immediato ha un fondamento di realismo politico ma ciò obbliga a lavorare per il domani per proporre altre soluzioni possibili. Si parla ad esempio di esercito europeo: potrebbe essere un’occasione per avere una sola struttura militare comune che elimina spese inutili per poter quindi finanziare una parte della difesa dedicata ad interventi dei Corpi civili di pace e prevenzione dei  conflitti.  Senza questi tipi di strutture non resta altro che l’intervento delle armi che poi, in gran parte, arrivano tramite bombardamenti perché sono in pochi a voler mettere gli scarponi a terra.

Esistono comunque dei casi anche secondo Gandhi in cui è necessario intervenire per fermare i violenti? La nostra Repubblica che dichiara di ripudiare la guerra è nata secondo il racconto fondativo, da colori che sono saliti in montagna con le armi.

Viviamo su questa Terra e la nonviolenza deve fare i conti con il possibile realizzabile ma occorre impostare bene il discorso. L’esempio fortemente minoritario dei partigiani, verso i quali va tutto il nostro rispetto, è potuto accadere perché la popolazione civile esercitò in massa un altro tipo di resistenza di carattere civile e popolare. Esiste non solo la banalità del male ma anche, come dice il filosofo Giuliano Pontara, quella banalità della non violenza che finisce per imporsi a livello culturale. Ciò non esclude il fatto che un nonviolento dichiarato come il teologo Bonhoeffer abbia poi deciso di concorrere alla preparazione dell’attentato che doveva eliminare Hitler. Esistono situazioni estreme in cui si è costretti drammaticamente a scegliere tra restare inerti o agire anche in maniera violenta senza tuttavia avere la certezza di aver risolto il problema alla radice. Perché il nazismo è stato sconfitto militarmente ma i suoi germi non sono stati affatto estinti e non solo in Europa.

Ma di fronte a situazioni attuali come la guerra dell’Iraq del 2003 o la Libia del 2011, non esistono gli estremi per lanciare l’invito all’obiezione di massa?

Certo è sostenibile a livello teorico, ma si deve preparare la situazione perché la consapevolezza deve essere significativa e diffusa. Ad esempio negli anni 80 e 90 siamo riusciti a lanciare l’adesione all’obiezione fiscale alle spese militari con decine di migliaia di autodenunce affrontando anche i pignoramenti e i processi. Oggi proponiamo uno strumento più istituzionale come la proposta di legge per la difesa civile e non armata e nonviolenta perché c’è bisogno di un grande discorso educativo basato sulle tre c: convinzione, coerenza e continuità.

A livello di logica comunque un conflitto armato non giustificato adeguatamente dovrebbe comportare l’invito a non partecipare in ogni modo?

Tutte le campagne di informazione – come il rapporto Milex da noi promosso – sulle spese ingiustificate concentrate in questo settore, mentre le persone stanno sopportando le conseguenze della crisi economica, sono preordinate a far insorgere questa obiezione. Finora l’opinione pubblica si è concentrata su diversi scandali politici ma prima o poi, con “militaropoli”, emergerà il danno che si sta consumando verso il bene pubblico con l’enorme scandalo delle spese inutili

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