Discutendo di ‘68
Cinquanta anni son passati e ancora la domanda sorvola gli ambienti accademici, che cercano di capire “che cosa fu il ‘68”. Così recita il titolo del congresso internazionale che proprio in questi giorni, dal 17 al 19, si è svolto a Barcellona organizzato dall’Ateneu universitari Sant Pacià (istituzione di origine ecclesiale fondata appena due anni fa) assieme all’Università di Barcellona e al Pontificio comitato di scienze storiche. Relatori da diversi Paesi europei (Francia, Germania, Italia, Spagna e Russia) e americani (Mexico e Usa) hanno voluto riflettere, con una chiave di lettura umanistica, sul “maggio francese”.
Inquadrati in tre grandi prospettive, i relatori hanno tentato in un primo momento un approccio ai fatti storici, tenendo conto del binomio causa/effetto nelle diverse aree geografiche, dove le proteste studentesche ebbero una certa ripercussione, in alcuni casi con l’intervento repressivo dell’esercito, come accade a Barcellona o in Mexico. In un secondo momento si è dato rilievo allo sfondo ideologico, non semplice, che nutrì la mente, e anche il cuore, dei giovani manifestati prima, e poi anche degli operai trascinati da loro alle proteste. Un particolare accento è stato posto sul pensiero di Gramsci, Freud e Nietzsche, quali esponenti di un marxismo eterodosso, e anche sull’influenza dei movimenti femministi. E per finire, un capitolo è stato dedicato alle ripercussioni del fenomeno ’68 in ambiti tanto variati quali la politica, l’educazione, l’arte, la letteratura e pure la vita ecclesiale.
A sentire la lezione inaugurale (“Critica alla razionalità scientifica come critica alla razionalità borghese”) del professore Ugo Baldini, membro del Pontificio comitato di scienze storiche, attuale direttore del dipartimento di studi storici e politici dell’Università di Padova, il fenomeno ’68 è un argomento «difficile, complesso e iniziatico». La grossa incidenza mediatica del momento ebbe un tale impatto che pure il mondo politico ne risentì. Forse bisognerà studiare il tutto non come l’apparire di un’ideologia, ma di una «nuova antropologia» da cui sorge «l’individualismo oggi imperante», aveva detto poco prima nell’introduzione Armand Pugi, rettore dell’Ateneu Sant Pacià.
Un’idea scaturisce dall’analisi fatto da Baldini, dopo aver percorso col suo discorso la totalità, in pratica, della storia della filosofia: quel che mosse i giovani del ’68 fu sostanzialmente una protesta contro un sistema borghese e capitalista che si era impadronito delle avanzate scientifiche e tecniche a scopi di maggior guadano. Il rischio, pero, stava nel riunire scienza e tecnica come fossero una sola cosa. È evidente, allude Baldini, il rifiuto della bomba atomica (esempio comune in questa critica), quale frutto di una scienza applicata al campo militare, ma è pure evidente che certi avanzamenti scientifici non sono per nulla collegati agli interessi militari o commerciali. Quale guadagno si può dedurre dallo studio del Dna sui resti Neanderthal, se non quello storico?