Discorrendo sulle donne con Natalia Ginzburg

Riscritture, rovesciamenti, circolarità.
Discorrendo sulle donne con Natalia Ginzburg

E ci sono donne che non hanno figli e questa è una grande disgrazia, è la peggiore disgrazia che possa avere una donna perché a un certo punto diventa deserto e noia e sazietà di tutte quelle cose che si facevano prima con ardimento, scrivere e dipingere e politica e sport e diventa tutto cenere nelle mani e una donna consapevolmente o inconsapevolmente si vergogna di non aver fatto dei figli e comincia a girare i paesi ma anche girare i paesi è un po’ difficile per una donna, perché ha freddo o perché le fanno male le scarpe o perché le si smagliano le calze o perché la gente si stupisce a vedere una donna che gira i paesi e ficca il naso di qua e di là. E tutto questo ancora si può superare ma poi c’è la malinconia e cenere nelle mani e invidia a vedere le finestre illuminate delle case nelle città straniere; e magari per un periodo abbastanza lungo riescono a vincere la malinconia e passeggiano al sole con un passo fermo e fanno all’amore con gli uomini e guadagnano del denaro e si sentono forti e intelligenti e belle né troppo grasse né troppo magre e si comprano cappelli strani con nodi di velluto e leggono dei libri e ne scrivono, ma poi a un certo punto ricascano nel pozzo con paura e vergogna e disgusto di sé e non riescono più a scrivere libri e neppure a leggerne, non riescono a interessarsi a niente che non sia il loro personale guaio che tante volte non sanno spiegarsi bene e gli danno dei nomi diversi, naso brutto bocca brutta gambe brutte noia cenere figli non figli[1].

 

E ci sono figli che non hanno madri. Ne ho conosciuti alcuni. Li ho visti cercare una madre ovunque, nel volto di un uomo, nella montagna, nella notte, nella morte. Nell’amore di ogni donna. Non vogliono ammetterlo, alcuni, dicono che loro non stanno cercando un bel niente, sono nati dal caso, come ogni creatura, solo che con loro il caso è stato clemente, gli ha risparmiato la conoscenza dell’anello precedente nella catena di eventi casuali, conoscenza inutile e illusoria, perché il caso si riproduce a suo piacere, servendosi delle nostre vite, come un virus, a dimostrarne la vanità, l’assenza di sorgente, di un preciso corso, di uno sbocco, un bacino. Alcuni. Altri non dicono niente. Cercano e basta. Anche quando sembra che non lo stiano facendo, o abbiano smesso di farlo, forse proprio allora. E non trovano mai il paese giusto, la donna adatta, il lavoro per loro, un’amicizia, niente che assomigli a quel grembo vuoto. Sentono troppo freddo e troppo caldo, sono soli e insofferenti di ogni anima vicina, odiano l’altrui felicità come l’infelicità propria. Amano distruggersi. Vorrebbero ricrearsi. Essere per sé stessi grembo: madre e figlio. Per sé stessi e per gli altri. Prendersi quello che gli spetta. Dare quello che non hanno avuto. Ma non ci riescono, scivolano sempre un po’ più in basso. Forse stanno puntando il fondo. Il fondo è l’abbraccio. Il grembo vuoto, il bacino negato. Alcuni. Altri cercano a testa e voce alta. «Io mia madre non l’ho mai conosciuta», ti dicono, senza nemmeno un tremore nella voce. E tu non sai che dire. Ogni risposta è sbagliata. Ti limiti a non dire niente, se sei saggio quanto basta per conoscere il valore del silenzio e non troppo codardo da sopportare l’imbarazzo, dal quale loro stessi ti tolgono, aggiungendo «vorrei incontrarla, anche solo per una volta, vedere quanto mi assomiglia, di che colore ha gli occhi, se sorride come me, se piange la mia assenza, se mi ha mai cercato, se ha paura, è sola, felice senza un figlio, perché ci sono donne che non hanno figli e questa è una grande disgrazia, è la peggiore disgrazia che possa avere una donna…».



[1] Da Discorso sulle donne di Natalia Ginzburg.

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