Disaffezione per la politica e per l’ Europa

A un mese dalle elezioni, molte le questioni aperte nel Paese alla guida del semestre di presidenza dell’Unione Europea. Ce le illustra Krzysztof Wielecki, docente di sociologia a Varsavia
Donald Tusk
È ormai trascorso più di un mese dalle elezioni parlamentari, ma il dibattito politico in Polonia rimane aperto. La vittoria, il 9 ottobre della piattaforma civica del premier liberale Donald Tusk con il 40 per cento dei voti, ha fatto di lui il primo leader a guadagnarsi la rielezione dopo la caduta dell’Unione sovietica, nonostante una leggera perdita di consensi (2,5 per cento). La destra di Jaroslaw Kaczynski, attestatasi al 30 per cento, è calata della stessa percentuale: segno che i polacchi hanno guardato ad altre formazioni politiche, come il Palikot, che ha ottenuto un insperato 10 per cento , ribaltando qualsiasi previsione. Sorprende che la “cattolicissima” Polonia, abbiamo premiato proprio un partito a favore della liberalizzazione delle droghe leggere, dell’aborto e dei matrimoni omosessuali con una larga raccolta di consensi. Ma i numeri non dicono tutto: ci spiega il perché Krzysztof Wielecki, docente di sociologia all’università di Varsavia.

 

Che cosa significa per il Paese la riconferma del primo ministro uscente?

«Nonostante la legittimazione popolare,  il primo ministro Tusk non è riuscito a risolvere i problemi fondamentali della Polonia. Non ha un progetto su come proteggere il Paese nella crisi economica globale, non ha intrapreso una seria ristrutturazione dell’economia, non ha tenuto conto della stratificazione sociale sempre più accentuata, né della questione demografica, della scarsità delle risorse culturali, sociali ed educative, delle condizioni critiche del sistema pensionistico e sanitario e delle diverse opinioni dei polacchi nel dibattito politico.  Non credo capisca appieno la situazione del Paese e le aspettative degli elettori. Il suo partito ha ottenuto quasi il 40 per cento dei suffragi, ma a fronte di un astensionismo del 55 per cento e oltre e il 5 per cento di schede nulle. Ciò significa che, di fatto, è stato votato dal 18 per cento degli elettori. Pare che non si renda conto della criticità della situazione attuale né lo voglia fare, e ciò non offre buone prospettive per il futuro».

 

Come interpreta la sconfitta di Kaczynski?

«Jaroslaw Kaczynski ha perso parte del suo tradizionale elettorato. Prima delle presidenziali ha cercato di rinnovare la sua immagine, presentandosi come un uomo aperto, moderato, e sensibile alle questioni sociali. I suoi sostenitori sono subito cresciuti ed era vicino alla vittoria, ma il tempo era ormai scaduto: ha “cambiato” immagine troppo tardi. È tornato al suo vecchio stile e ha attribuito questa sconfitta agli strateghi di questo suo cambiamento. Di loro si è totalmente liberato. Bisogna inoltre aggiungere che il suo partito non ha presentato alcun serio programma di riforme. A dire il vero, molti partiti non l’hanno fatto, ma il peso era diverso: quando il dibattito politico si scalda e non c’è una singola parola che spieghi come uscire dalla crisi, l’unica garanzia è nella persona del leader. E, come si è visto, ciò non è bastato ai polacchi».

 

Che cosa pensa del nuovo partito Palikot, che raccoglie notevoli consensi? Chi lo sostiene?

«Il successo del Palikot è materia di discussione: il 10 per cento dei voti, con un’affluenza alle urne del 48 per cento, di fatto diventa il 4,5. Certamente ha guadagnato qualche punto soprattutto tra i giovani, che identificano la libertà e l’anticonformismo con la modernità e l’apertura. Alcuni di loro hanno criticato Kaczynski e Tusk, e hanno preferito votare per delle facce nuove, piuttosto che per i soliti vecchi politici. Per lo meno il Palikot – dicono – non ostenta una falsa serietà, impegno e responsabilità. In questo modo, alcuni anni fa, persino il Partito polacco della birra è entrato in Parlamento».

 

La Polonia sta diventando sempre più secolarizzata: perché gli appelli della Chiesa non sono stati accolti?

«Ci sono diverse ragioni. Per quanto buona parte dei polacchi presti ascolto alla voce della Chiesa, è altrettanto vero che questa non è omogenea al suo interno: difficile, quindi, valutare fino a punto la popolazione ne segua le indicazioni.

Ufficialmente la Chiesa non è allineata, per cui lascia libera scelta di voto. Alla fine molti polacchi hanno optato per il “male minore”, e le loro scelte non sono necessariamente lo specchio delle loro idee. Molti sono poi consapevoli che i partiti che si oppongono alla Chiesa lo fanno solo per guadagnare un pugno di voti, salvo poi non mantenere quanto promesso. Ci sono anche alcuni membri della Chiesa che ritengono che questa sia troppo conservatrice e quindi scelgono di  interferire in modo diretto con la politica. Certamente la secolarizzazione è crescente, e molti polacchi scelgono il “dio consumismo” e la libertà morale».

 

Qual è il ruolo della Polonia in Europa, alla luce del semestre di presidenza dell’Unione Europea?

«Attualmente il peso della presidenza dell’Ue non è davvero decisivo. Tuttavia consente alle singole comunità di essere protagoniste, aiuta nell’“educare all’Europa” e nella formazione sia dell’identità nazionale che di quella europea. Inoltre permette di introdurre nel dibattito europeo alcune questioni importanti, e promuove l’immagine e la conoscenza del Paese nell’Unione. Grazie al semestre di presidenza, i polacchi stanno cominciando a sentirsi cittadini europei a pieno titolo: è ciò è molto importante per contrastare atteggiamenti isolazionisti».

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