Disaffezione e potere
La definizione di democrazia come “governo del popolo” ha retto bene negli anni in cui i partiti riuscivano a rappresentare gli interessi generali di una società povera di mezzi. La delega totale che ne è seguita ha però oscurato l’altra dimensione, quella di democrazia come “governo con il consenso di ciascuno”. Il singolo cittadino è stato nei fatti estromesso dalla gestione del potere.
Ma venendo a cadere uno dei poli della corrente, anche l’energia democratica è scemata. Il “nome collettivo” oggi regge bene in una piazza riunita a tifare per la Nazionale e può reggere anche per chiedere solidarietà attraverso donazioni occasionali; ma non è in grado di forzare il palazzo alla condivisione del potere, il nocciolo della questione.
Capisco bene i molteplici rischi che si presentano, quali il semplificare la rappresentatività bilanciandosi sulle indagini demoscopiche, rimanere immobilizzati in attesa di “ascoltare” tutti e ciascuno. Ma bisogna rischiare, perché la disaffezione attuale è il risultato di una partecipazione “a condivisione zero”, o quasi.
In questi giorni si sente un leitmotiv: mancano i leader, manca chi, nei partiti, abbia idee e ci faccia uscire dall’impasse. Dopo le soluzioni (non) trovate dei tanti partiti-personali, mi pare che si sia sperimentato quasi tutto della prospettiva leaderistica. La sperimentazione giusta è ora quella del coinvolgimento: se nel Dopoguerra, tempo di rifondazione, la parola d’ordine era “fare della democrazia una questione di popolo”, ora nell’epoca della società molteplice dovrebbe essere “fare della democrazia una questione di ciascuno”.
Cosa succederebbe? Un piccolo esempio. Con i giovani di una scuola di preparazione sociale in cui sto lavorando, stiamo ideando un programma per accompagnare la cittadinanza nella campagna elettorale del 2013. Mentre i candidati presidenti discutono su “Trentino 2013”, i giovani si preparano al confronto su “Trentino 2025 nell’Europa e nel mondo”. I cittadini, in particolare i giovani, hanno una prospettiva di governo ben più ampia dei propri rappresentanti. Solo una contaminazione a “rischio condivisione totale” può dotarci di strumenti validi a reggere le sfide del futuro.