Disabilità e Vangelo
Il 13 gennaio 2017 è stato pubblicato il documento preparatorio della XV assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sul tema «i giovani, la fede e il discernimento vocazionale», accompagnato da una lettera del papa.
C’è tempo per riflettere e discutere il tema e gli obiettivi del Sinodo, ma alcune considerazioni conviene farle prima che si prendano strade particolari, figlie più della ideologia che del discernimento; della retorica, più che della mitezza dell’annuncio .
Il papa nella esortazione apostolica Amoris laetitia dice: al n.47, «desidero sottolineare che l’attenzione dedicata tanto ai migranti quanto alle persone con disabilità è un segno dello Spirito».
Ci aspetteremmo, nel documento, una riflessione che apra al discernimento della vita e della fede dei giovani disabili e dei giovani migranti che attraversano il mare alla ricerca di giustizia e di pace.
Niente di tutto questo, permane la retorica giovanilistica. Non si entra nel mistero dei giovani disabili. Tutto si confonde e si stempera in un genericismo insopportabile.
Il papa indica nella attenzione ai disabili e ai migranti un segno dello Spirito Santo che chiama la Chiesa alla conversione, mentre in questo testo tutto viene ignorato.
I giovani disabili e i giovani migranti non sono oggetti di pastorale e di programmi spirituali, ma sono appunto segno dello Spirito Santo. Essi diventano i protagonisti dell’annuncio del Vangelo, le cui stigmate portano nella carne.
Se oggi la società sembra abbandonare i giovani sul versante del lavoro e del futuro, a maggior ragione ignora coloro che, essendo giovani e disabili, pagano un prezzo che gli altri giovani evitano. Tutto questo si complica ulteriormente se si tratta di donne, giovani e disabili, per cui lo stigma diventa ancora più pesante.
Stupisce che si parta non da coloro, che portano nella loro carne la croce di Cristo, ma da una platea generica che alla fine delude tutti. Non si tratta di essere dei bravi sociologi, ma ci manca lo sguardo, che è lo sguardo di Dio, che sa riconoscere e accogliere i suoi figli più sofferenti e per questo privilegiati davanti a lui.
Se noi guardiamo ai numeri della scuola superiore italiana, sono oltre settantamila i ragazzi disabili che la frequentano. Un numero molto importante, mentre sono quattordici mila i giovani disabili iscritti nelle Università italiane. Tutto questo viene semplicemente ignorato in questo documento che ha un valore universale, ma anche contenuti specifici.
Dentro questi numeri c’è una quantità di dolore e di sofferenza, di fatiche e di gioie che semplicemente cancelliamo dal nostro orizzonte, impoverendoci nel cuore e nella vita. Pensiamo di essere rassicurati se cancelliamo i giovani disabili dall’orizzonte.
Non si tratta di aggiungere un tema,arebbe troppo semplice. Si tratta di metterci in ginocchio di fronte a chi vive e soffre più di noi, di fronte all’icona del Dio disabile.
Io ormai sono un vecchio disabile. Ricordo, durante il mio viaggio a Lourdes del 1966, che un prete mi avvicinò e mi disse: «Caro Massimo, la tua condizione fisica è un segno che sarai chiamato al sacerdozio. Riconosci la tua vocazione».
Io capii, in quella notte, che sarei stato chiamato al matrimonio, perche il codice di diritto canonico, allora non prevedeva che un poliomielitico potesse fare il prete. Ci sono molti modi di fare il discernimento vocazionale. Mi sono sposato. Sono vedovo, mia moglie è in paradiso e ho una figlia suora.
Il discernimento vocazionale avviene se il nostro sguardo si posa sui giovani disabili e sui giovani migranti. Ecco il segno dello Spirito. Sono loro i nostri maestri.
Papa Francesco nella sua lettera ai giovani, ricorda il grido dei giovani a Cracovia che dicono sì alla sua domanda: «Le cose si possono cambiare?».
I giovani disabili sanno bene che le cose si possono cambiare, ma per cambiarle bisogna riconoscerle, accoglierle e condividerle. I giovani, poveri e disabili nel corpo e nella vita, diventano come maestri per la Chiesa che vuole leggere il Vangelo per la società, che vuole adempiere alla Costituzione e alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle persone disabili.
La disabilità come grande scuola per la Chiesa, per comprendere meglio il Vangelo. Dice papa Giovanni: «Non è il Vangelo che cambia, ma siamo noi che incominciamo a comprenderlo meglio».
La disabilità è come l’amore per Dante: «intender non lo può chi non lo prova»… Dunque la disabilità maestra di amore per una società che non vuole dimenticare chi è più piccolo e più ferito.
Dice papa Francesco a proposito del grido dei giovani: «Quel grido nasce dal vostro cuore giovane che non sopporta l’ingiustizia e non può piegarsi alla cultura dello scarto, né cedere alla globalizzazione della indifferenza. Ascoltate quel grido che sale dal vostro intimo».
I giovani disabili pagano ogni giorno il prezzo della cultura degli scalini. Sempre uno scalino indietro, sempre una fatica in più..
Non dimenticate i disabili perché perdete la vita, il Vangelo e l’amore. Una ultima questione: perché i giovani disabili non si sposano?
Perché siamo brutti? Perche è troppo costosa la vita di coppia di disabili? Perche hanno bisogno di troppi aiuti? La risposta è molto semplice e la diciamo per chi andrà al Sinodo: perché non si scommette e non si investe sull’amore che ci pone sulla frontiera dell’impossibile.
Io spero che al Sinodo ci siano i giovani disabili,c on le loro storie drammatiche e belle, mentre a casa rimangano i documenti retorici e vuoti, di teologi, di sociologi e di pastoralisti. Di questi davvero non c’e’ bisogno.