I disabili e la catechesi
Il testo su catechesi e disabili, che il pontefice ha letto sabato scorso al convegno promosso dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, chiede di essere letto partendo dalle ultime righe, che illuminano tutto l’impianto.
Scrive papa Francesco: «Da ultimo, mi auguro che sempre più nella comunità le persone con disabilità possano essere loro stesse catechisti, anche con la loro testimonianza, per trasmettere la fede in modo più efficace».
Ecco l’orizzonte nuovo, ecco il cambiamento: i poveri, i disabili sono i protagonisti dell’evangelizzazione, che si nutre del paradosso della croce. Ne sono il vero soggetto, incarnato nella sofferenza quotidiana, che tocca la vita dei più feriti e dei più provati, secondo la perfetta logica del Vangelo.
Se noi guardiamo appena per un attimo il Vangelo di Marco, i disabili sono al cuore del ministero di Gesù, secondo la loro “eminente dignità”, per parafrasare il teologo Bossuet: sono coloro che diventano i segni del Messia, che libera e guarisce. Nella missione del servo abitano i sordi e i muti, gli zoppi, i ciechi: il popolo dei disabili che va incontro a Gesù.
Ecco i guariti: l’indemoniato, la suocera di Pietro, il lebbroso, il paralitico, l’uomo con la mano inaridita, l’indemoniato di Gerasa, l’emorroissa, la figlia di Giairo, il figlio della sirofenicia, un sordomuto, il cieco di Betsaida, l’epilettico indemoniato, il cieco di Gerico, la vedova con il suo obolo.
Ecco coloro che, nella loro carne, rendono visibile la guarigione che Gesù opera nella storia di ciascuno. In questo movimento, sono i disabili che chiamano la Chiesa alla conversione. Il cieco rende visibile la cecità della chiesa, il sordomuto rivela la sordità e la mutolezza della comunità cristiana, lo zoppo narra le zoppie dei credenti, che li rendono fragili nel correre.
Nella disabilità fisica delle persone siamo chiamati a riconoscere la disabilità della Chiesa, con le sue fragilità, vulnerabilità e zoppie, le sue cecità e le sue sordità, il suo camminare traballante e incerto.
Ciascuno e ciascuna hanno la loro storia, il loro dolore. Davvero dei “minorati”, per usare il linguaggio francescano, che troviamo operante nella nostra Costituzione, che ne tutela dei diritti. Ognuno di loro ha un rapporto speciale con Gesù e, al tempo stesso, Gesù fa di loro i suoi interlocutori privilegiati.
Il primo evangelizzatore, nel Vangelo di Marco, non è uno dei dodici, ma un lebbroso che viene guarito e, in forza di quella guarigione, diventa l’uomo del Vangelo. La sua vita diventa fortezza e la sua parola potente. Colui che era tenuto fuori della porta della città si fa servo del Vangelo e lo annuncia a tutti. Lui, che era stato lontano, si fa radicalmente vicino nel Vangelo. Nella vicinanza, sperimenta la tenerezza di Dio, che avviene in Gesù.
Se guardiamo all’episodio della figlia della sirofenicia, c’è qualcosa che ci sorprende, perché la forza mite della sirofenicia ha autorità su Gesù, che cambia orizzonte e abbandona antiche dottrine, colpito dalla fede di questa donna che si impone su Gesù, a partire dalla figlia che muore, avendo lei stessa sperimentato la morte del marito.
La sirofenicia, con il suo dolore e il suo patire, ha autorità su Gesù e indica la straordinaria parola delle briciole dei figli. Così il Vangelo viene consegnato ai pagani, in forza dell’autorità di una donna, che trova nel suo dolore la radice di una parola che stupisce Gesù stesso.
C’è come un metabolismo evangelico che fa dei guariti dal Signore i veri discepoli, non per appartenenza, ma come sequela lungo la via della passione. I disabili, nella loro disabilità, sono il segno profetico della croce di Gesù.
Il cieco di Gerico, con la sua guarigione, dona lo sguardo nuovo su Gerusalemme, apre gli occhi alla Chiesa per salire a Gerusalemme senza vergognarsi e senza scandalizzarsi del Messia.
I vangeli ricordano coloro che hanno una disabilità fisica, motoria (zoppi, ciechi, paralitici, sordomuti) e quelli che hanno una disabilità psichica (gli indemoniati, i posseduti, quelli che sono generati dalla mondanità). Ecco coloro che non si affidano alla sapienza dei sapienti e alla intelligenza degli intelligenti, ma alla povertà del Vangelo, che hanno conosciuto e incontrato nella comunità dei poveri e dei disabili di Dio.
La narrazione del Vangelo sta e avviene nella vita delle persone disabili. La condizione fisica e psichica è illuminata dal Vangelo e lo illumina. Gesù è il grande amico dei disabili. La Chiesa racconta questa amicizia e al tempo stesso è misurata da questa amicizia.
La Chiesa di oggi sa che si deve inginocchiare di fronte ai molti disabili, come ha fatto Gesù con i disabili del suo tempo. Si rimane stupiti, e dobbiamo chiedere perdono, perché le nostre chiese non sono accessibili: per i troppi scalini, per le troppe barriere materiali, culturali e spirituali, per i troppi pregiudizi, per le nostre paure, che rivelano e hanno origine nella durezza di cuore.
Le persone disabili non sono gli oggetti di una pastorale, al contrario indicano la via di una catechesi del Vangelo, che essi stessi narrano con la semplicità e la sofferenza della vita. Ecco i veri maestri del Vangelo, che non si affidano alla cultura e ai corsi di formazione, ma all’ascolto semplice e povero dell’unico Vangelo.
Le nostre assemblee liturgiche, come indica papa Francesco, devono evitare la grande tentazione pelagiana che si affida alla dottrina e alla ideologia delle formule catechetiche, che impediscono la comprensione diretta e semplice del Vangelo.
Spesso si tengono le persone disabili lontane dall’incontro del Signore, in nome di un conoscere e di una dottrina che rappresentano l’opposto di quanto dice e fa il Signore.
E allora le nostre comunità non comprendono che nella vita delle persone disabili si compie un grande mistero di grazia, per cui nelle persone disabili agisce in modo speciale la grazia di Dio e la stessa disabilità diventa come il segno (signum Dei) di una predilezione di Gesù, che opera nella vita di tutti.
Conosciamo la violenza del patire e la fatica dei giorni. A volte il dolore può travolgere, ma se la preghiera sarà incessante, ciò che ha il segno della morte si trasfigurerà nel segno della luce, che ci permette di riconoscere la grazia di Dio che opera nella nostra vita.
Sono diventato disabile nell’agosto del 1945, nei giorni della bomba di Hiroshima. Sono più di settanta anni che sono disabile e la mia disabilità si è rivelata nel tempo come una grande grazia, pur nella prova dei giorni, spesso insopportabili.
Impariamo dalle persone disabili la via crucis che si fa via amoris e via lucis.
Su quella via, i disabili ci indicano il Vangelo e non l’organizzazione pastorale con i suoi riti e dottrine, con le paure che alzano barriere, resistenze e conflitti. Aboliamo le barriere, che alimentano distanze, resistenze, conflitti. La mensa eucaristica Gesù l’ha preparata innanzi tutto per le persone disabili. Noi siamo solamente servi e non padroni.