Diritto alla vita e al lavoro, Costituzione e ripudio della guerra
Da tempo Città Nuova ha dedicato pagine e interventi alla vicenda delle armi prodotte nella fabbrica RWM, con sede nell’Iglesiente, e destinate a un cospicuo commercio, causa di morte per civili inermi e vittime innocenti nello Yemen. Sono vicende note, culminate di recente nella tanto attesa revoca di autorizzazione alla produzione delle armi, in applicazione di quanto previsto dalla Legge 185/90; un esito a lungo sollecitato e in tante sedi, anche istituzionali, ripetutamente invocato (Comunicato stampa 29.01.2021). Ma oggi, spegnendo per un attimo i riflettori sulla scena mondiale, raccontiamo una vicenda non secondaria, e per nulla scontata, che ha visto i due portavoce del Comitato Riconversione RWM a Iglesias assumere la veste di indagati.
L’accusa, da parte di RWM Italia (del colosso tedesco Rheinmetall), si fondava sul contenuto di un Comunicato (12.9.2019), diffuso tramite vari organi di stampa, che richiamava con parole forti la sospensione per decisione governativa delle esportazioni di munizioni e armamenti verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti.
Si interrompeva finalmente il tragico collegamento fra l’Iglesiente e lo Yemen, ma trovava anche indiretta conferma il sofferto coinvolgimento dei lavoratori della fabbrica, resi convinti di prestare la propria opera per la difesa del nostro Paese, o piuttosto, obbligati a portare il pane a casa “collaborando inconsapevolmente con i signori della guerra”.
Così, l’impegno rinnovato per anni nel Comitato di tenere insieme il diritto alla vita, anche di chi è lontano dal nostro sguardo e dai nostri confini geografici, con il diritto al lavoro, in una terra sarda povera e ad alto tasso di disoccupazione, si è trasformato in motivo d’accusa. Le parole dei portavoce del Comitato nel Comunicato stampa erano infatti di contestazione di un’attività che, per le caratteristiche drammatiche assunte nel tempo in violazione dei diritti umani, avrebbe causato un tipo di commercio non ammesso in Italia, “al pari dello spaccio di sostanze stupefacenti e dello sfruttamento della prostituzione”.
Parole diventate il punto di forza nella querela per diffamazione a mezzo stampa nei confronti dei due portavoce. Le loro affermazioni non potevano costituire per la RWM l’espressione di una libera manifestazione del pensiero, né rientrare nell’esercizio del diritto di critica anche nell’ambito di un confronto politico (condotte scriminate dall’art. 51 del codice penale). Si sarebbe trattato invece di espressioni diffamatorie e lesive rispetto a un’attività comunque autorizzata dagli organi governativi (punibili per l’art. 595, comma 3, cod. pen.).
L’esito del procedimento è arrivato lo scorso 24 febbraio con la pronuncia del Giudice per le Indagini preliminari presso il Tribunale di Cagliari, che in accoglimento della richiesta avanzata dal PM ha disposto l’archiviazione per infondatezza della notizia di reato.
Allora, giustizia è fatta? Si torna dietro le quinte in un palcoscenico ormai vuoto? No, perché quell’art. 11 Cost., che con forza “ripudia” la guerra, è preceduto nell’art. 4 dal diritto/dovere di un lavoro, costitutivo della dignità umana, ed è seguito da una libertà economica che nell’attività d’impresa non può recare “danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” (art. 41, comma 2, Cost.).
È la Costituzione dunque a ricordarci che se le utilità, in un’economia globale e senza volto, si possono sommare, ognuno, prossimo o sconosciuto, è pur sempre una persona umana. Così, il cammino del Comitato riprende ora insieme a tanti, per dare avvio a progetti capaci di generare nuove opportunità di lavoro nell’ambito di una cittadinanza attiva, partecipata, che come chiede la Costituzione non si sottragga ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Anche la Corte costituzionale italiana ha voluto sottolineare la specificità della “vocazione sociale dell’uomo” e il vincolo di appartenenza attiva che lega l’individuo alla comunità degli esseri umani.
E altre voci si levano a ricordare che gli interessi degli ultimi non possono essere trascurati dal diritto, un diritto capace di “coniugare solidarietà e giustizia” fino a “garantire una ‘solidarietà tra estranei’” (J. Habermas).
Il monito: «Non guardate la vita dal balcone» è fatto di parole che papa Francesco rivolge a tutti e a ciascuno per essere veri costruttori di reti di fraternità.
Quale allora il senso del racconto? L’ho trovato racchiuso in una frase del Vangelo: «Nessuno accende una lucerna e la mette in luogo nascosto o sotto il moggio, ma sopra il lucerniere, perché quanti entrano vedano la luce» (Lc 11,33).
Una luce capace di rischiarare anche la Giustizia, che sempre ci riguarda e ci interpella, ma che per realizzarsi ha bisogno di chi sa mettersi in gioco, pronto a rischiare anche di persona in nome del bene comune. Così, anche parole scolpite in un provvedimento giudiziario possono valere per tutti, a ricordare che non un interesse privato, ma la responsabilità e l’amore per la propria gente, anche da parte di un solo cittadino, si fa “olio” che accende la lucerna sul moggio a mostrare germi di fraternità.
Ci sono, quindi, anche in questo tempo pagine scritte, nel silenzio e nella quotidianità, che val la pena raccontare. La cronaca non risparmia notizie a dir poco sconcertanti, racconti drammatici, scambi di accuse, fondate o meno, che ‘sbattono’ qualcuno in prima pagina. Spesso invece le righe che nel provvedimento di un Giudice sanciscono l’esclusione di un reato e con essa la correttezza della condotta di un innocente, se danno sollievo a chi da tempo è in attesa di giustizia, non fanno notizia.
Eppure, potrebbero contribuire a raccontare di questo Paese un’altra storia: fatta di coraggio e impegno personale, di gratuità e rapporti mai scontati e sempre ricostruiti, anche in un piccolo centro di un’isola come la Sardegna, proiettata e coinvolta nel dramma di popoli lontani, perché uno dei pochi lavori possibili nell’Iglesiente è in una fabbrica di bombe. L’obiettivo dell’impegno è alto, ma nulla di meno di quanto la Costituzione chiede: se la guerra si fa “strumento di offesa alla libertà degli altri popoli” (art. 11, comma 1 Cost.), ecco l’impegno a costruire, al di là di logiche politiche e profitti egoistici, ponti di pace.