Il diritto al mare conteso

In attesa della sentenza del Tribunale dell’Aja, gli avvocati di Cile e Bolivia hanno presentato le posizioni dei rispettivi Paesi in merito all’accesso al Pacifico da parte dei boliviani. Una lunga storia, condita di passioni e di un nazionalismo d’altri tempi

Bolivia e Cile hanno presentato davanti al Tribunale internazionale dell’Aja le loro posizioni in merito alla questione dell’accesso sovrano al mare per i boliviani. La questione ha la sua origine nella guerra del Pacifico che, verso la fine del secolo XIX, privò la Bolivia di 400 km di costa e 120 kmq di territorio, che oggi costituiscono il Nord del Cile. Tra i territori annessi, anche una frangia di terra che prima apparteneva al Perù, alleato dei boliviani nel corso della guerra. Nel 1904 un trattato di pace ha sancito, a perpetuità, secondo gli argomenti cileni, le nuove frontiere che hanno tolto alla Bolivia l’accesso all’oceano.

La tesi boliviana sostiene invece che, dopo il menzionato trattato, ci siano state esplicite manifestazioni di disponibilità, da parte delle autorità cilene, a negoziare l’accesso al mare, che avrebbero generato un vero e proprio obbligo in tal senso, che ora chiedono sia adempiuto. Tra gli episodi citati, c’è la proposta fatta negli anni ‘70 dal governo del dittatore Augusto Pinochet di uno scambio di terra in cambio di acqua, risorsa naturale scarsissima nel Nord cileno, che invece abbonda nel lato boliviano della frontiera.

A girl holds a paper ship and signs that reads in Spanish "Sea for Bolivia," during an event honoring national hero Eduardo Abaroa, who died in the 1879-1884 War of the Pacific, during Sea Day commemorations in La Paz, Bolivia, Friday, March 23, 2018. Sea Day marks the anniversary of Bolivia losing a 19th century war with Chile, with the subsequent loss of its Pacific coastline. The International Court of Justice in The Hague is holding public hearings in the case concerning the obligation to negotiate access to the Pacific Ocean between both countries. (AP Photo/Juan Karita)

Dal canto suo, il Cile risponde che si è trattato di iniziative diplomatiche incapaci di suscitare un obbligo giuridico a negoziare, tanto è vero che la Bolivia non è in grado di determinare a partire da quale momento tale diritto si sarebbe costituito. La firma del trattato del 1904, inoltre, avrebbe stabilito definitivamente le frontiere, indicando poi gli obblighi che il Cile ha adempiuto nei confronti della Bolivia: una riparazione monetaria per la perdita di territorio, la costruzione di una ferrovia che da La Paz permette di inviare merci sulla costa cilena, il diritto delle merci boliviane destinate ad essere imbarcate nei porti cileni del Nord di non pagare dazi e la presenza nei porti cileni di dogane boliviane incaricate dei dazi sui prodotti imbarcati e sbarcati, destinati al proprio Paese. In pratica, si agisce come se davvero la Bolivia disponesse di un accesso al mare. Si stima che prima della fine di quest’anno il Tribunale dell’Aja, sentite le parti, si pronuncerà in merito all’esistenza o meno dell’obbligo di negoziare in buona fede.

La disputa sta stimolando i nazionalismi nei due Paesi. Sia la difesa ad oltranza dell’integrità territoriale che il reclamo per un accesso sovrano sono spesso difesi con una passione che impedisce sciogliere i nodi della questione. Il pagamento di un risarcimento e i diritti concessi dicono che l’acquisto di territorio da parte cilena non avvenne per una offerta boliviana né come effetto della liberazione di popolazioni cilene oppresse da un occupante: era territorio boliviano, conquistato manu militari (con l’impiego delle forze belliche). D’altra parte, che valore dare allora ai trattati internazionali? Quali andrebbero rivisti e quali no? E dopo quanto tempo essi sanciscono definitivamente uno status quo?

Se poi ci concentriamo sulla disputa, non possiamo non notare che si tratta di una discussione centrata su argomenti del secolo XIX, durante il quale l’integrità territoriale era un tema centrale. Attualmente, la globalizzazione sta cancellando sempre più decisamente le frontiere fisiche stabilendo frontiere piuttosto regionali. Il paradosso è poi che varie multinazionali straniere esercitano nei due Paesi diritti che vanno ben oltre la cessione di un territorio.

Da un lato e dall’altro non è facile resistere alla tentazione di fare appello a certo populismo nazionalista, perdendo di vista le opportunità di rendere complementari le economie di questi due Paesi, quella boliviana ricca di combustibili, quella cilena con un elevato livello di industrializzazione. Il tema è eminentemente politico, più che giuridico. E l’abbaglio nazionalista impedisce di cogliere quanto ciascuno abbia in realtà bisogno dell’altro.

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