Diritti umani e diffamazione delle religioni

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La libertà di religione è il tema che ha caratterizzato il Consiglio dei Diritti umani dell’Onu nella recente sessione, la quarta di questo organo chiamato a valutare la condotta degli Stati relativamente alla tutela dei diritti umani nel mondo.Ma lo ha fatto in modo singolare: molto limitate sono state le considerazioni sul ruolo positivo delle religioni (convivenza armoniosa, pace, tolleranza), mentre si è insistito sulle violazioni nei confronti di membri delle religioni e sulla condizione di quanti soffrono a causa di regole religiose. È emerso chiaramente che la libertà di religione può essere limitata solo da misure di ordine pubblico e di sicurezza pubblica, e solo nelle sue manifestazioni esterne, poiché diritti come la libertà di religione non possono subire restrizioni anche in caso di stato di emergenza. Il contrario costituisce discriminazione fondata sulla religione o convinzione. Per i Paesi accusati di violazione della libertà di religione, si è individuato un criterio di analisi: la vulnerabilità, che parte dal considerare i casi di violazione dei diritti a motivo della religione. Spesso, infatti, tale discriminazione è aggravata da più situazioni: elementi etnici, culturali o legati all’ascendenza.O anche da specifiche legislazioni, come quelle che vietano l’uso di simboli religiosi, o che li impongono attraverso i cosiddetti codici di abbigliamento. E poi l’odio per motivi religiosi, ritenuto una delle cause fondanti l’intolleranza e quindi i conflitti. Individuarne le cause significa spesso comprendere processi politici e individuare segnali di sviluppo di nuove situazioni. Difficile in contesti che presentano conversioni forzate o l’imposizione di una religione, o ancora la realtà delle nuove sette sempre più numerose e impegnate nel ricercare adesioni. Certo il dibattito nel Consiglio dei Diritti umani ha offerto una visione negativa del fenomeno religioso, quasi a voler trasmettere il messaggio che dove c’è una realtà religiosa sono alte le probabilità di conflitto. Pertanto la discriminazione per motivi religiosi non sarebbe più solo quella di Stati o di loro organi nei confronti di persone, comunità, minoranze, ma piuttosto la discriminazione di cui sarebbero causa le stesse religioni con le loro regole, i loro riti, la loro dimensione comunitaria e il loro insegnamento e dottrina. La risposta a tutto questo è stata una Risoluzione sulla diffamazione delle religioni, introdotta dai Paesi a maggioranza musulmana, che resta però solo una protesta per l’islamofobia che la lotta al terrorismo avrebbe prodotto, dimenticando i comportamenti diffamatori verso tutte le religioni: antisemitismo e cristianofobia, infatti, sono purtroppo anch’essi parte della nostra quotidianità. Viene da chiedersi quanto su tutto questo influisca la preoccupazione di non dare alle religioni uno spazio ed un ruolo positivo nel contesto dei diritti umani, indicando ad esempio che in nome della religione non si può mai impedire o limitare la libertà di espressione e di stampa. Se le religioni non hanno diritti da tutelare e il loro ruolo pubblico viene minimizzato è facile favorire l’intolleranza e la conflittualità. L’obiettivo non può essere la contrapposizione, ma il dialogo.

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