Dire qualcosa di Gentile
Per decenni è stato visto come il contrapposto di Masaccio. Cioè. Masaccio era il rinascimento, quello primo degli anni venti del secolo XV, con Paolo Uccello, fra Angelico, Domenico Veneziano e amici. Dall’altra parte – incerti sulla novità umanistica -, Pisanello, Masolino e Gentile da Fabriano. Ultimi rappresentanti di un secolo di gotico fiorito, di una corrente internazionale dalla vena più decorativa che drammatica, più sontuosa che essenziale, e dalla prospettiva insicura. Insomma, un bell’indugiare nella tradizione. Per fortuna, i pregiudizi, a volte, cadono. Così la rassegna che la città natale dedica al suo pittore – ma di lui nulla resta in patria – assume il sapore di un atto di giustizia verso un grande creativo di straordinario spessore culturale ed artistico; insieme alla comprensione che non esiste un unico rinascimento ed una unica forma di espressione poetica. Mode permettendo… Il capolavoro di Gentile – o, meglio, l’opera più rifinita ora rimasta, dopo le distruzioni di tanti suoi lavori – è l’Adorazione dei Magi degli Uffizi a Firenze, anno il 1423. Né delicatamente prospettica come la Pala di santa Lucia dei Magnoli di Domenico Veneziano o nemmeno così metafisica come l’Incoronazione della Vergine di Lorenzo Monaco che le sono accanto, vive di un mondo dove tutto è meraviglia, ogni cosa viene osservata come se la natura – paesi alberi armi vesti figure cieli – venisse guardata per la prima volta. È lo stupore, raccontato da linee e colori illuminati, il sentimento più vivo in questa tavola. La gradevolezza della linea scende dalla cornice polilobata alla vasta ancona centrale per chiudersi sulle predelle sottostanti come una melodia che ha, ordinatamente, un inizio ed una fine, parlando sempre un linguaggio di sicura eleganza. Nella parte superiore della tavola sono le tre scene del- la venuta dei magi come sottofondo all’Adorazione. Il viaggio dei tre sovrani e del loro corteo fiabesco si adagia davanti alla capanna con la solennità di un rituale di corte. Le due donzelle infatti, dietro la Vergine, con la linea nervosa che zigzaga tra le vesti, sono ancelle di corte accanto ad un regina in dolce maestà. Il coro dei cortigiani alle spalle, ritratti con studi dal vero nei costumi variopinti, con l’infinito amore per gli animali – cani e cavalli – così cari all’epoca, è una polifonia che si raccorda ai tre magi: l’anziano inginocchiato, il secondo in atto di togliersi la corona, il terzo, più giovane al centro dello spazio. Eleganza superiore, raffinatezza di vesti e di animo. Non è questo un mondo favoloso e decorato, un perdurare nostalgico di atmosfere astratte sull’avanzare deciso e forte del rinascimento. È una poesia che si compiace di individuare, grazie alla luce che risplende in sé stessa in ogni singolo elemento, la complessità dell’animo umano, togliendole ogni asperità e vedendo la storia con un’ottica per cui ogni corpo sembra brillare di luce propria – come nel paradiso dantesco (e se ne ricorderà il Botticelli) -: senza misticismi o eccessi. Così il colore si espone ad una lucentezza che lo rende squisitamente lirico, senza bisogno di una unica fonte di luce, perché tutto l’insieme è una impercettibile onda luminosa. Il lirismo contemplativo di Gentile si esprime con maggior libertà nella predella. Il cielo della Natività è una variazione di tante notti stellate dei fratelli de Limbourg e di molta arte tardogotica: ma qui ogni stella è un fiotto di luce sul blu oltremarino a creare, senza filtri – perché questa è un’arte immediata – l’incanto misterioso della notte e lo svelarsi del mistero stesso. Senza dimenticare accenti naturalistici come l’ancella voltata a guardare il prodigio o Giuseppe addormentato presso un albero. Tocchi di amore per la natura e i suoi giochi, brani di poesia verginale. Che pervade anche la Presentazione al tempio dentro una città dagli spazi brunelleschiani. Guarda il mondo che lo circonda, Gentile, attento alle novità degli artisti umanisti. Ma la sua natura è aristocratica, non rude. E non per nascita o perché frequenta le corti signorili della Padania, ma per carattere e scelta. Se ci si sofferma ad un confronto tra le due Madonne col bambino, entrambe a Londra, e press’a poco coetanee, sul 1425, quella di Masaccio e la sua, si ha una idea perfetta di cosa sia il rinascimento – o meglio, l’arte – per Gentile. Dove Masaccio è forte, plastico e quasi brutale, sempre insomma drammatico,Gentile è fine, indaga stoffe damascate con gioia, irradia una luce distesa. L’arte è per lui una poesia d’amore, in cui i sentimenti di delicatezza e di timidezza si manifestano non tanto nella preziosità dei costumi quanto in una umanità gentile d’animo, prima che di colori e di forme. Così è la luce proveniente dal di dentro dell’immagine a diffondere un sentimento di assoluta pace: non estatica, ma reale. Le sue infatti sono figure solide – come la Vergine di Orvieto -, però non gravi: Gentile rende leggero il corpo perché prima di tutto punta alla trasparenza dell’anima. C’è un ultimo lavoro, tra i pochi rimasti, i vari attribuiti, quelli della bottega e dei seguaci marchigiani e non, a dire un’altra parola sul nostro pittore. Si tratta del Polittico di Valle Romita ora a Milano, lavoro sul 1405 che permette di risalire indietro nel tempo riguardo alla attività di Gentile, alle sue origini. In quel passaggio tutt’altro che facile fra Tre e Quattrocento – l’Europa è sotto il trauma dello Scisma d’Occidente – questo pittore-viaggiatore riveste di un fasto dorato la contemplazione religiosa, in una astrazione di caratteri e sentimenti che pare rispecchiare il clima di acceso misticismo dell’epoca. Il confine tra favola, sogno ed estasi si fa labile fra tanta suggestione decorativa. Ed il linguaggio oltremontano franco-fiammingo è ancora una componente ben presente in Gentile. Ma negli scomparti laterali del polittico i fiori, le fronde, gli ori si accompagnano alla gioia fluente del raccontare di san Francesco stigmatizzato o di sant’Agostino che legge e studia. Nessun dolore. Anzi, qualcosa che assomiglia alla visione di un mondo lirico che ama colorare le ombre e i volti, giocare con la linea sinuosa e la morbidezza cromatica, osservare la natura candidamente e riproporla con amore per ogni singolo dettaglio. Un’aria che sarà poi di Filippo Lippi e Botticelli: nel primo più terragna, nel secondo più alta, arrivando fino ai preziosismi di Filippino, Pontormo e di Bronzino. Un altro rinascimento, sull’onda di Gentile. La cui sapienza costruttiva, l’amore descrittivo per il cosmo – meravigliosi sono i suoi disegni – la capacità di impaginare spettacoli nascondono una tecnica quanto mai affinata, una volontà determinata di dominare lo spazio. È già un rinascimento Ma, senza alcuna violenza. Non sarebbe Gentile. Gentile da Fabriano e l’altro Rinascimento. Fabriano, Spedale di Santa Maria del Buon Gesù, fino al23/7 (cat. Electa).