Dir di sì a Dio

Realizzarsi, ma fuori dell’angusto spazio del nostro io.
Giovani

Qual è la mia vera identità? Chi decide quello che posso o non posso fare? Che cosa mi realizza, che poi vuol dire cosa mi permette di esprimere tutte le mie potenzialità? Quante volte la risposta a queste domande la cerchiamo nel fare, nel progettare, nel cercare un ruolo da protagonisti.

 

Dir di sì a Dio, mettersi alla sua sequela nei piccoli e grandi passi che la vita ci porta a fare, sembra implicare necessariamente una penosa rinuncia alla propria volontà, alla propria identità. Ma anche dire “sì” all’altro, al chiunque altro che si incontra nella quotidianità sembra essere solo un’impraticabile rinuncia a sé. Rifuggiamo l’obbedienza, l’accondiscendenza, la disponibilità come segni di debolezza.

 

È davvero così? Siamo sicuri di avere noi soli l’unica e la sola giusta prospettiva su noi stessi, che noi e solo noi sappiamo quello che possiamo e non possiamo, dobbiamo e non dobbiamo fare? Siamo sicuri che la realizzazione di sé, l’evoluzione e il benessere siano raggiungibili nell’angusto spazio del nostro “io”? Il bambino che va a scuola, spesso si sente imposta una volontà altrui che gli sembra piuttosto incomprensibile o persino capricciosa: solo dopo anni riuscirà ad essere grato per quella possibilità di crescita e di istruzione. Così noi, tutti compresi nel presente e nei suoi piccoli e grandi affanni, spesso non riusciamo a guardare oltre, a notare l’orizzonte che si estende e continua, e che magari si esprime proprio in una richiesta o in un evento apparentemente insoliti o inattesi… Non sarà che lo sguardo di un Altro può vedere più in là, può suggerirmi luce per angoli ancora bui a me stesso?

 

«Avvenga di me quello che hai detto», allora, non è subire, ma scegliere. È assumere su di sé la responsabilità della scelta. Intelligentemente, ci si confronta con altri sulla scelta da fare: si ottengono così diverse prospettive che permettono una visione più completa, rendono possibile una scelta più consapevole. Altre volte, sembra di non capire e di non vedere. In ogni caso, l’adesione è fatto intimo e personale di cui mi assumo piena responsabilità e che traduco in quell’operare con coscienza e convinzione.

 

«Avvenga di me quello che hai detto» significa allora fidarsi della Vita, anche quando sembra di non comprenderla. Con il gusto della sorpresa, talvolta, per una via che non si era neanche immaginata, per talenti e capacità che si svelano davanti ai nostri stessi occhi, per un’esistenza che acquista finalmente un significato pieno.

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