Diplomazia TikTok, l’agora politica
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In questi giorni, navigando nei social – Instagram, Facebook, TikTok, X… – sono rimasto colpito da una serie di meme, di piccoli video e di schermate umoristiche a proposito della nuova diplomazia trumpiana, del riavvicinamento con Putin e Bin Salman e del patto di ferro con Netanyahu, delle sue parole sulla corruzione internazionale e di quelle sferzanti contro l’Europa del suo vice J.D. Vance.
Ora, la politica oramai si fa su Internet, possenti macchine di battaglia non più solo composte da professionisti degli eletti e della diplomazia, ma soprattutto da spin doctor, da esperti di comunicazione, da web manager, e anche da ingegneri del digitale (che operano non solo per fornire gli strumenti adatti alla propaganda, ma spesso e volentieri per entrare nelle strutture digitali altrui e mandarle per aria) e dalla pletora di influencer e attori di varia specie che operano a favore del capo di turno.
Per chi era abituato alla “normalità” della vita politica predigitale, credo che serpeggi un certo smarrimento, come se le procedure semisegrete delle feluche e le operatività segrete dell’intelligence fossero state buttate per aria da modalità di presenza nella sfera pubblica, o nell’infosfera piuttosto, che non hanno precedenti.
È vero, la situazione appare discretamente confusa e convulsa, vince chi grida più forte, quel che si dice non è detto che sia corrispondente alla realtà, la menzogna o semplicemente la bugia fanno parte della strategia politica. Gli annunci politicamente rilevanti ormai si fanno sui social, con la complicazione che i proprietari di questi strumenti sono imprenditori che sono implicati nelle stesse strutture politiche, o sono asserviti alle personalità politiche vincenti (o forse è il contrario, sono i politici ad avere bisogno di questi imprenditori, chissà).
L’elemento interessante che emerge in questi mesi è che l’umorismo dal basso della rete sta diventando come si dice “virale”, cioè prende uno spazio che forse non si immaginava, anche perché l’intelligenza artificiale sta moltiplicando le possibilità di produzione di audiovisivi e riducendo drasticamente i tempi per la loro realizzazione. Per tutti, ricordo un meme che vede protagonisti i disc jockey Trump e Putin, in giacca rosa confetto e aspetto glamour, che giocano sui cursori del mixer non per accendere le luci della scena ma per far partire una selva di missili che colpiscono in giro per il mondo.
Ma circolano anche prodotti meno raffinati, anzi spesso molto sommari tecnicamente, che però fanno battute spesso salaci, a volte francamente sboccate, oppure più fini a proposito dei grandi di questo mondo. Non è da sottovalutare questa forma di espressione del sentire popolare, rigorosamente transnazionale oramai, sapendo quanta influenza hanno i social in questo momento sulla politica. I nostri politici stanno infatti lì a misurare la quantità della loro influenza sull’orbe terracqueo seguendo tutti gli indici di gradimento possibili grazie al digitale.
Intendiamoci, la diplomazia è ben altro, e il suo lavoro è straordinariamente importante, direi sempre più fondamentale nella politica sguaiata. Ma la politica oggi è sbilanciata sui social, e nei social stessi può trovare quei correttivi e quei bilanciamenti che non si potrebbero trovare negli strumenti tradizionali della politica dal basso: manifestazioni, cortei, comizi, volantinaggi, articoli sulla carta stampata. Al solito, i media vengono creati e poi se ne valuta l’efficacia: stiamo valutando il reale impatto di questi strumenti che hanno pochi anni di vita.
«Una risata vi seppellirà», si gridava nelle piazze nelle manifestazioni studentesche degli anni Sessanta e Settanta. Chissà che non sia ancora più vero quest’oggi, non nelle piazze ma sui social.
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