Diplomazia alternativa
In occasione delle celebrazioni per i sessant’anni dello Stato di Israele, il presidente degli Stati Uniti George W. Bush ha riaffermato il principio che ha ispirato la sua politica estera: con il nemico (cioè con i terroristi e i suoi fiancheggiatori) non si dialoga. In un luogo davvero simbolico per gli ebrei, Bush ha paragonato quanti oggi si dichiarano disposti al dialogo con terroristi e leader radicali, a coloro che avevano cercato di pacificare il nazismo, offrendo concessioni. Il messaggio era per Barack Obama, che ha ripetutamente affermato la sua disponibilità a dialogare con i presidenti di Siria e Iran. L’era Bush ci ha abituati all’idea che essere forti significa preferire il monologo delle armi al dialogo. La diplomazia è stata relegata a un’arte di terza categoria. Il mondo però non si è risvegliato più sicuro come effetto di questa strategia. Il rifiuto del dialogo ha dato ossigeno e offerto ragioni al nemico per radicalizzarsi. Non a caso la Corea del Nord ha incrementato la produzione di plutonio, l’Iran ha cullato le sue ambizioni atomiche e si è infiltrato in Iraq, e Siria e Iran simpatizzano per Hamas e Hezbollah. In un recente editoriale per il The New York Times, Carter ha scritto che in anni recenti, una controproducente politica di Washington è stata boicottare e punire fazioni politiche o governi che non accettano il mandato degli Stati Uniti. Diventa perciò improbabile che tali leader moderino le loro politiche. Il primato della diplomazia si è trasformato in un tema centrale della campagna presidenziale negli Stati Uniti. I recenti incontri di Jimmy Carter con leader di Hamas e del governatore del Nuovo Messico Bill Richardson col presidente venezuelano Hugo Chavez (per la liberazione di tre cittadini statunitensi ostaggio delle guerriglia colombiana delle Farc), hanno offerto un esempio controcorrente di diplomazia illuminata. Non sono soltanto un’anteprima del tipo di politica estera che gli Usa potrebbero adottare se in novembre i democratici vincono le elezioni (una partita tutta aperta). Di più, evidenziano quanto Hannah Arendt aveva polemicamente affermato nei suoi scritti: che cioè uso della violenza e potere sono antitetici. I fedeli della dottrina di Bush hanno definito come temerarie le iniziative diplomatiche di Carter e Richardson. Tali reazioni svelano il clima polarizzato e intollerante nel quale oggi si esercita la politica estera. A maggior ragione, per la sicurezza di questo mondo interdipendente, è necessario, pur senza ingenuità, riprendere la strada della diplomazia e del dialogo.