Dipendenze da contrastare
Poche vincite, ma strombazzate ai quattro venti, e tante perdite, sempre taciute. La febbre del gioco cresce in Italia e le istituzioni non corrono ai ripari. Allora come aiutare chi non riesce più a fare a meno di tentare la sorte? Nel corso della manifestazione internazionale “Insieme per l'Europa”, in un convegno sull'economia e il dono, il prof. Luigino Bruni ha rilanciato una sua proposta, già formulata in altre occasioni, sulla necessità di vietare la pubblicità dei giochi d'azzardo e di rivedere i criteri di rilascio delle licenze e delle concessioni in materia di giochi e scommesse.
Abbiamo voluto approfondire l'argomento.
Prof. Bruni perché un economista pone l'accento su questo argomento?
«Esistono legami evidenti, a chi li vuole vedere, tra le scommesse nello sport, il business delle slot machine, certa speculazione finanziaria, oroscopi e maghi, i giochi d'azzardo online e gli "innocui" gratta-e-vinci. Il primo fattore che lega assieme questi fenomeni solo apparentemente distanti si chiama dipendenza: quando si è in presenza di dipendenza sappiamo che esiste un problema etico enorme, poiché se si lascia la gestione di questi ambiti al solo mercato, il risultato è lo sfruttamento a scopo di lucro dei più deboli e fragili, con gravissime conseguenze individuali, familiari e sociali. L'adrenalina che prova il giocatore di slot machine all'udire il tintinnio della cascata di monete, è molto simile a quella che prova chi specula overnight sui cambi delle monete o sul prezzo del grano».
E come tutte le cose vi è un effetto domino che influenza poi altre realtà…
«La proliferazione dei giochi d'azzardo è un vero e proprio scandalo, e da troppi punti di vista, una piaga molto più pervasiva e grave di quanto comunemente si creda, e le cui radici sono profonde e serie. Stiamo, infatti, assistendo passivi a una crescita massiccia di una vera e propria "cultura" delle scommesse e della fortuna. Pensiamo, ad esempio, alla ricorrente ed attualissima vicenda del calcio scommesse. Questa è profondamente legata a una visione mercantile che sta trasformando il calcio da "bene relazionale" (cioè un incontro non commerciale) a bene di mercato altamente speculativo. Grazie soprattutto alla dittatura incontrastata delle televisioni commerciali, che oggi dominano il calcio professionistico determinandone vita e morte, la dimensione della gratuità, che dovrebbe invece costituirne l'essenza, è ormai scomparsa dal gioco».
Che fare allora?
«Innanzitutto occorre agire "a tutti i livelli". Un primo livello è quello politico: come mai, ad esempio, non si estende ai giochi d'azzardo (poker tv, scommesse online…) la proibizione della pubblicità che vige per il tabacco? Le dipendenze sono simili, e gli effetti di queste nuove dipendenze sono oggi forse più gravi».
Ma il solo proibizionismo può bastare?
«Penso di no. Abbiamo esempi storici che ci insegnano che poi si apre la strada a fenomeni clandestini che favoriscono la delinquenza organizzata. Occorre pensare anche a forme dal basso, dalla società civile, dai cittadini. Una sorta di "obiezione di coscienza" da parte di tanti campioni che potrebbero rifiutarsi di fare da testimonial in certe pubblicità, ad esempio. C'è poi la dimensione educativa, familiare e scolastica. Parlerò in tal senso alla Giornata mondiale della famiglia in programma a fine maggio a Milano. Dovrebbero, ad esempio, essere gruppi di famiglie a premiare con un marchio di qualità etica quei locali e bar che rinunciano a sicure entrate eliminando le slot machine, un marchio che poi potrebbe attrarre verso quegli stessi locali più consumatori civilmente responsabili».
Occorre anche invertire la scala dei valori?
«La mia, la nostra, ricorrente idea è di "premiare gli onesti", parallelamente alla coessenziale punizione dei disonesti. La sfida è grande. L'Occidente ha iniziato la sua straordinaria storia quando ha affermato che la «virtù batte la fortuna», che la l'"eudaimonia" – la vita buona – non dipende dal fato, ma dalle nostre scelte improntate alla virtù, che sono la sola vera risposta di fronte all’incertezza della vita. L'invasione della cultura della fortuna dice allora, e con grande forza, la profonda crisi della cultura occidentale, e un forte ritorno di irrazionalità e di fede nel "fato". Le pubbliche virtù, ieri come oggi, nascono solo dalle virtù private, ancor più nei tempi di crisi».