Dialogo con i lettori
Contro il papa Sono un lettore di Citta Nuova e con mia moglie faccio parte di un gruppo della Parola di Vita. L’ultima volta uno dei presenti ci ha esternato tutto il suo disagio per essere stato ad un incontro di preghiera in cui era stata apprezzata la figura del papa, la sua apertura, il suo ecumenismo, mentre lui muove diverse critiche avallato anche da prelati. Ci chiedeva cosa ne pensavamo. Può Citta Nuova aiutarci a vivere nella carità queste situazioni, presenti all’interno della Chiesa, e come confrontarci con esse. › Lanfranco Gentili – Borello di Cesena (FC)
Grazie della sua lettera, caro Gentili, che evidenzia un problema ecclesiale che sta assumendo proporzioni di un certo peso. Le critiche al papa, che starebbe “svendendo” la dottrina cattolica, che sarebbe troppo aperto, che non terrebbe conto della tradizione sono avanzate ormai anche da vescovi e cardinali. La posizione di Città Nuova è chiara, senza se e senza ma. Questo papa è una benedizione per la Chiesa intera, non solo per quella cattolica, e lo è anche per tanta e tanta gente che non si riconosce nel cristianesimo ma che ha sensibilità umana, sociale e spirituale. È una benedizione perché pesca la sua forza solo dal Vangelo e dalla sua umanità. È una benedizione perché cerca di smontare quei meccanismi di potere che creano scandalo nella Chiesa e fuori di essa. È una benedizione perché sta riavvicinando alla fede milioni di persone che se ne erano allontanati. È importante perché, come sostengono teologi ed ecclesiologi, ha messo fine alla “Chiesa costantiniana” che è vissuta di connivenze tra potere temporale e potere spirituale. Ma nel contempo questo papa non scomunica nessuno, nemmeno coloro che lo criticano. Anzi, sembra temere più i falsi amici che i veri nemici. E allora, ascoltiamo tutti, anche chi ce l’ha con Francesco. E, se possibile, cerchiamo di dialogare con loro, di far presente le nostre posizioni. Certo, un papa non è onnisciente e onnipotente; trova la sua forza nella debolezza evangelica.
Appello per un’Europa unita Ogni giorno riceviamo da più parti e sempre più insistentemente notizie inquietanti su questo nostro continente chiamato Europa tanto faticosamente, e con enormi sacrifici, trasformato in Europa unita. In un mondo dove si stanno ergendo dappertutto muri di confine, segregazione, isolamento… si sta cercando di distruggere l’unico muro, dei tempi moderni, che sia stato invece in grado di isolare le divisioni, le dispute nazionalistiche i conflitti ideologici e violenti. Muro che ha consentito l’unione civile e pacifica tra Stati confinanti. Questo continente non si è veramente fatto mancare niente nei secoli passati: per ragioni ideologiche, di interessi, di supremazia, di odio razziale e financo religiose, sono stati causati nelle due grandi guerre mondiali dello scorso secolo, milioni di morti. Gli Stati che fanno parte di questa grande Europa unita, portano ancora visibili le profonde ferite provocate dalle bombe di molte decine di anni fa: nelle trincee, sulle rive dei fiumi, sulle nostre care e amate montagne dove sono morti milioni di giovani, nelle città. Si parla tanto di problematiche legate alla moneta unica, all’economia difficilmente sostenibile in alcuni Paesi, si parla di debito pubblico, di sanzioni su sforamenti finanziari, di interessi, di Europa a due velocità! Ho l’impressione che, insistendo su questi tecnicismi (non dico non necessari) si sia perso di vista il motivo principale dell’ideologia di Europa unita dove il solo sacrificio di vite umane e gli sforzi dell’immediato dopoguerra debbono fare molto riflettere (prima di parlare) e al cui sogno, parteciparono molte persone, le quali, memori degli orrori della guerra, dedicarono con l’impegno la loro vita perché questo ideale venisse realizzato. Noi italiani, oltre alla responsabilità civile e politica (tutti abbiamo ancora nei nostri album le foto scolorite dei nostri cari deceduti in guerra) abbiamo anche quella “spirituale” di accogliere nella nostra bellissima terra le origini del padre e protettore dell’Europa, san Benedetto da Norcia. Penso che sia giunto il momento di alzare in alto la loro voce e il loro dissenso a discorsi sconclusionati che possono minare la stabilità di questa grande “casa comune” chiamata Europa. › Giorgio Fiora Varisella (TO)
Disastro Europa Imputo ai leader del G7 il disastro al quale stanno conducendo una delle più belle scommesse umane. Abbiamo voluto troppo, ci siamo fatti guidare da politici piccoli piccoli, da intellettuali colti, entrambi incapaci di capire che il successo di un’idea si realizza sempre e solo nell’esecuzione. E adesso, 60 anni dopo, ci troviamo con il giochino a pezzi, succubi di un ricatto tedesco. Che fare? Nel 2016 tre di costoro ci hanno lasciato, uno se ne è andato per fine turno, gli altri due hanno voluto sfidare i loro popoli. Nel 2017 se ne va il francese. Per completare il lavoro dovrebbe andarsene anche la signora tedesca, ma sarà molto difficile. La frase con la quale Angela Merkel ha preso atto del fallimento dell’Europa, così com’è venuta a configurarsi: – «O un’Europa ad assetti variabili o crolla tutto» sembra un momento di sincerità verso i popoli europei. Nel mondo che conosco, quello del business, quando non si riesce a far funzionare un’alleanza multipolare di più aziende, che facciamo noi manager? Ci si mette intorno a un tavolo e il leader dell’azienda più potente presenta una proposta, dove lui prende tutto e gli altri vengono liquidati con i quattrini. Nella fattispecie Merkel deve prendere tutto e “liquidare” gli altri. Chi vuole andare con lei e farsi ancella, ci vada. I finali dei grandi film sono sempre semplici, o vince il buono o vince il cattivo Questo lo decide il produttore, non gli attori. › Giovanni Arletti Capisco la sua voglia che qualcosa funzioni meglio, caro Arletti, e capisco il senso di frustrazione che ci avvolge ogni volta che guardiamo com’è ridotta l’Unione dopo il caos migrazioni e dopo le tante guerre del Medio Oriente: niente politiche condivise in esteri, giustizia ed economia. Cosa resta? Molto nelle conquiste sociali e culturali, poco in quelle politiche e anche economiche, senza però dimenticare i cambiamenti portati dall’euro. Eppure – è questo il messaggio della lettera precedente, quella del signor Flora – in un mondo globalizzato (o piuttosto mondializzato) non si può rinunciare a un’Europa più unita. Se non altro per contare un po’ di più nel contesto internazionale. Ma Renzi merita di continuare? Grazie per l’editoriale sull’ultimo numero di Città Nuova, è una bella e sintetica analisi degli orientamenti politici attuali. oltre a tensioni presenti nei nostri contesti sociali si indicano, inoltre, le vie percorribili per una possibile convivenza. Il motivo della mia lettera invece verte su considerazioni non condivisibili con l’articolo di Marco Fatuzzo. È un articolo impregnato di pessimismo che non condivido. Che cosa si vuole dall’attuale Pd guidato da Renzi? Quali aspetti positivi si evita di rilevare nelle vicende attuali di questo partito? L’esperienza del Pd è giunta davvero al capolinea? Non vorrei ricordare la storia recente ma mi sembra che sia necessario. Il governo Renzi è subentrato a una situazione di crisi politica per garantire la governabilità di cui avevamo e abbiamo tanto bisogno. Ha ottenuto per il Pd il 40% alle elezioni europee, traguardo mai raggiunto. Ha portato avanti un referendum costituzionale, approvato dalla maggioranza che ci governa, lottando contro tutto e contro tutti. Dopo l’esito negativo del referendum si è dimesso da capo del governo e da segretario del Pd. Ha sopportato un’opposizione interna senza un vero programma alternativo, opposizione fondata sul nulla. Come si può affermare che per via di questa opposizione l’esperienza del Pd sembra “arrivare al capolinea”. L’autore dell’articolo condivide il disfattismo che caratterizza purtroppo il nostro contesto sociale in Italia? Nessuna possibile alternativa positiva viene proposta. › Mario D’Astuto Caro D’Astuto, la sua simpatia per Renzi (assolutamente legittima) ha le sue ragioni d’essere. L’avvento del giovane premier “toscanaccio” ha smosso le acque della politica nostrana, introducendo comportamenti inusuali nelle sale della politica. Certamente, però, credo abbia peccato in due aspetti: nella riconoscenza e nel fare squadra. Mi spiego: ogni politico arriva al potere con un bagaglio di nozioni, con una storia, con una tradizione partitica o nella società civile che non possono essere attribuite solo alla propria capacità. In questo credo che Matteo Renzi abbia difettato, presentandosi come colui che avrebbe portato il nuovo, mentre tutto il resto era vecchio. Altro problema, la squadra: arrivati al vertice delle istituzioni dello Stato non si può che accettare la permanenza in certe posizioni di amministratori provenienti da passate esperienze. Il premier designato deve riuscire, sin dalle prime battute, a integrare la propria squadra con coloro che costituiscono e perpetuano la struttura dello Stato come istituzione. Ebbene, anche qui Renzi non sembra aver eccelso. Per questi due atteggiamenti ora si ritrova con una marea di nemici. Detto questo, le qualità politiche di Renzi sono sotto gli occhi di tutti, e non credo che esista italiano che, nell’onestà, possa non riconoscergliele. Sarà il popolo, speriamo liberamente, cioè non troppo obnubilato da media e social, a decidere se l’avventura politica di Renzi è finita o continuerà. C’est la démocratie, Madame la Marquise! L’Unità chiude Siamo in presenza di un non-giornale: con 29 giornalisti, 6 poligrafici, 6 mila copie vendute è evidente che i conti non tornino. Ciò che Sergio Staino non ha capito è che l’Unità è riconducibile a un business ove l’imprenditore, pur sapendo che si tratta di un’attività in perdita strutturale perenne, ci investe, non per salvarlo, ma per migliorare o proteggere un altro suo business, questo sì ad alta redditività, ma condizionato dal potere. È il modello di business della Silicon Valley: cedi gratuitamente un servizio qualificato a milioni o miliardi di clienti, sottrai a costoro i loro dati personali, li vendi ad aziende interessate ad essi in cambio di montagne di quattrini, ma fingi che questi vadano a pagare una pubblicità sulla rete. Formalmente è così. Nella sostanza no, perché la transazione non si innescherebbe se non ci fosse, a monte, la sottrazione dei dati personali dei clienti e, a valle, il non pagamento completo delle tasse e la lobby politica a protezione del monopolio. › Lettera firmata Basilicata Fa sempre male assistere alla chiusura di una testata politica gloriosa. Ma è anche vero che la rivoluzione digitale ha portato tali cambiamenti nelle abitudini dei lettori che non si poteva immaginare che tutti i giornali esistenti riuscissero a sopravvivere. Ci sono poi motivi politici, e l’Unità ne è un’esemplificazione particolare, che hanno portato alla morte (o alla sopravvivenza ridicola e antieconomica) di tante testate politiche gloriose. Bisogna farsene una ragione. Sapendo che nessun gruppo editoriale, o quasi, riesce a sopravvivere solo con la vendita del prodotto: una larga percentuale del budget deve provenire da altrove. Se un’organizzazione politica (ma anche civile o religiosa) ha ancora al suo interno un numero sufficiente di persone motivate nel perseguire la propria missione, allora si può tirare avanti. Altrimenti prima o poi si chiude.
UN LIBRO, UNA CITTÀ
Una piccola città nel cuore del bresciano, Gussago, un manipolo di cittadini attivi sul territorio, la passione di trasmettere una cultura di pace alle nuove generazioni: ecco gli ingredienti di un percorso sfociato in una serata dal titolo: “Per una cultura dell’incontro. Quale accoglienza per le persone migranti?” L’ispirazione? Nasce un anno prima, alla presentazione di un libro di Città Nuova: L’Islam spiegato a chi ha paura dei musulmani. Da lì l’esigenza di offrire ai ragazzi delle scuole medie gli strumenti per leggere il fenomeno delle migrazioni e dare la stessa opportunità anche alla comunità cittadina di Gussago. Il Patrocinio del Comune e la collaborazione di varie realtà del territorio dal consultorio familiare al centro migranti della diocesi hanno permesso di coinvolgere esperti di valore che hanno offerto le reali proporzioni al fenomeno, ricollocandolo a livello mondiale e rintracciandone le radici profonde mentre gli studenti hanno raccontato il percorso svolto a scuola attraverso il “Progetto migrazioni e intercultura”. Le storie di vita hanno, poi, ridato un volto e un’anima a ciò che ormai è per tanti il “problema immigrati”. Una goccia nell’oceano? Forse, ma la serata ha spronato a chiedersi: «Io cosa posso fare?», senza aspettare le risposte della politica, necessarie ed attese, ma non sufficienti se manca una reale cultura dell’incontro e del dialogo. Ma le reazioni più sorprendenti sono state quelle dei giovani: «Io posso contribuire a ridurre il pregiudizio raccontando l’esperienza che ho fatto a scuola e stasera». «Le migrazioni sono un mezzo per conoscere e vivere altre culture». «D’ora in poi non mi farò più condizionare dai mass-media». MARTA CHIERICO rete@cittanuova.it
Guardiamoci attorno a cura dell’associazione Progetto Sempre Persona
DISOCCUPATO SENZA SUSSIDIO Il padre provinciale dei Cappuccini di Napoli chiede aiuto per il signor C., disoccupato senza più sussidio, in attesa della pensione, e papà di quattro giovani figli di cui per fortuna i due più grandi lavorano alcuni mesi all’anno e riescono a portare il pane a casa, ma per tante altre necessità spesso si trovano veramente in disagio.
SFRATTATA COL FIGLIO Maria e il figlio di 13 anni da alcuni giorni non hanno più casa perché sfrattati. Sono ospitati in una struttura comunale per le ore notturne. Maria non ha redditi e il marito è detenuto. Sono persone molto povere ma con tanta dignità e coraggio. Le istituzioni non riescono ad aiutarli. Noi portiamo mensilmente qualche aiuto economico e i viveri, ma non bastano per le tante necessità
IN CASA MANCA L’ELETTRICITÀ Natalino ha moglie e tre figli piccoli. Abita in una casa senza servizi e in particolare senza energia elettrica. Ha qualche lavoro saltuario nel campo dell’edilizia che gli permette di sopravvivere, ma non di far fronte alle tante necessità della famiglia. Vorremmo comperare un piccolo generatore elettrico. Si chiede aiuto.
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LA MERITOCRAZIA
A proposito dell’articolo “Diseguaglianza e meritocrazia” di Luigino Bruni pubblicato su Città Nuova n. 3/2017 Leggendo l’articolo del prof. Bruni, confesso di aver capito non molto. Penso che la tesi di fondo, come intenzione, sia quella di mettere in rilievo come, nel cammino dell’umanità, sempre più si sia proceduto verso la consapevolezza che, malgrado le naturali diversità nella distribuzione dei talenti, queste non debbano portare a lasciare indietro chi non ne è dotato. Che quindi giustissimamente una società equa debba preoccuparsi di permettere a tutti di vivere una vita dignitosa, assicurando il soddisfacimento di tutti i bisogni primari. E che per questo non sia giusto permettere che i talenti naturali determinino differenze macroscopiche di ricchezza, come quelle che sembrano crescere nella fase presente della vita dell’umanità, un po’in tutti i Paesi e in tutti i regimi, anche in quelli che professavano il comunismo come regola di convivenza. Ma da ciò a fare un peana dell’egualitarismo ce ne corre e a criticare la meritocrazia sic et simpliciter ancor più. Penso che il progresso dell’umanità sia stato sicuramente stimolato e promosso dalla possibilità di far fruttare i talenti naturali. Pensando ai conventi medievali, citati nell’articolo, non penso che l’abate venisse tirato a sorte. Probabilmente era il monaco considerato più virtuoso e anche più capace di gestire la comunità. Come già accennavo, forse c’è un equivoco di fondo. Non credo che il prof. Bruni auspichi che le aziende vengano dirette dai meno capaci o da persone scelte a caso, perché i risultati sarebbero catastrofici. Io credo che buona parte dei guasti economici presenti nella gestione di questo nostro Paese derivino dal fatto che purtroppo i dirigenti di grandi aziende pubbliche vengano scelti spesso per motivi clientelari o di appartenenza a una parte politica o addirittura a una fazione di una parte politica. Abbiamo una lunga tradizione in merito. Dante fu esiliato e addirittura condannato a morte per beghe interne ai Guelfi di Firenze. Quindi non sono affatto d’accordo coll’apparente conclusione del discorso del prof. Bruni. Credo che, per il bene della nostra società e dell’umanità in genere, vada data la possibilità di far fruttare i talenti naturali e vada favorita la meritocrazia, certamente non nel senso che la meritocrazia poi implichi una corsa rovinosa al successo economico a scapito dei più deboli. ROBERTO ANDREANI Caro Ingegnere. Grazie per la sua mail. Il tema della meritocrazia è ovviamente complesso. Ne ho parlato più volte su articoli (es. I tristi imperi del merito, che trova su Avvenire online), e libri (La foresta e l’albero). Gli equivoci si annidano nelle parole. Lei parla di egualitarismo e io di eguaglianza (principio costituzionale, tra l’altro) e disuguaglianza. Io parlo della meritocrazia (cioè governo del merito) lei di lasciare le aziende agli incapaci ecc. Il punto centrale sta nell’interpretazione dei talenti (più dono o più merito?), nell’uso che vogliamo fare del merito e soprattutto come lo vogliamo premiare. Io constato che ad oggi il capitalismo sta usando il merito contro i poveri per legittimare eticamente la diseguaglianza, perché il merito suona come una forma di giustizia e quindi affascina. A me questo non piace e lo dico, e sono in compagnia di grandi economisti come A. Sen o R. Frank. C’è poi tutto il discorso teologico sul merito in Cristo (fratello maggiore nel figliol prodigo, operaio dell’ultima ora …), in Agostino, Pelagio, Lutero … di cui parlo un po’ nei miei articoli, se le interessa. Grazie per la sua attenzione, e continuiamo a dialogare. LUIGINO BRUNI.