Dio torna in città
Magliette arancione, pass al collo, volantini e vangeli in mano, chitarra in spalla. Chi passava per le vie del centro a Roma agli inizi di ottobre non poteva non imbattersi in qualcuno dei 460 giovani che per dieci giorni hanno animato una delle zone più famose della capitale. Via del Corso, piazza Navona, piazza del Popolo, Fontana di Trevi… erano il quartier generale di Gesù al centro, la missione pensata dalla diocesi romana in collaborazione con i movimenti, le associazioni, aggregazioni laicali e parrocchie.
A realizzarla giovani dai 16 anni in su. Giovani normali, provenienti dalle più diverse esperienze. C’è una ragazza che la settimana successiva sarebbe entrata fra le clarisse; una giovane coppia, bambino al seguito e un altro in arrivo; Alfio prossimo al diaconato; ci sono Emanuela e Daniele che il giorno della conclusione si sarebbero sposati… Storie varie che si intrecciano, carismi diversi che dialogano, persone che insieme testimoniano e annunciano l’amore di Dio per ogni uomo. Con uno stile rispettoso ma anche esplicito, senza indugi. "Gesù al centro della storia, della vita, della mia città" canta l’inno composto per l’occasione, al centro di Roma come al centro della propria esistenza. Il programma molto articolato prevede incontri con i ragazzi di alcune scuole superiori (23 istituti – non solo cattolici – con oltre cinquemila studenti contattati) e visite agli ammalati in alcuni ospedali; evangelizzazione di strada a due a due e intrattenimento nelle piazze; punti per i graffitari, piccoli complessi ambulanti, giochi per i bambini; spettacoli serali in piazza Navona (da una sfilata di moda della stilista Mariella Burani al musical del Gen Rosso, al concerto rock di Paddy Kelly o al coro nazionale del Rinnovamento). Dalle 21 alle 24, in sette chiese del centro, l’adorazione eucaristica con un flusso inarrestabile di gente. Alcuni missionari invitano i passanti, spiegano cosa sta succedendo, li accompagnano ad istaurare un dialogo personale con Dio. Molti entrano, magari per dare un saluto e rimangono lì, in ginocchio. Tante le confessioni… senza troppi pudori. Come quando una sera, finito lo spettacolo, viene annunciata dal palco la possibilità di riconciliarsi con Dio. Trenta sacerdoti sparsi per piazza Navona, accolgono ininterrottamente il ritorno a Dio di tanti cuori che di Lui, forse, non avevano più sentito parlare. In contemporanea il primo incontro internazionale dei gruppi giovanili di adorazione eucaristica (vedi www.adoremus2004.org). Una pioggia di grazie, diceva qualcuno, che ha fecondato questa città bisognosa di una nuova evangelizzazione. Quella stessa che il papa ha affidato ai giovani missionari in un’udienza speciale durante la quale ha dato loro tre consegne specifiche: l’amore per l’Eucaristia, la passione missionaria, formarsi alla scuola dell’ascolto della Parola di Dio, della preghiera, della celebrazione dei sacramenti. Fin qui la cronaca. Ma cos’è successo veramente in quei giorni? Concludendo la missione, mons. Mauro Parmeggiani, segretario generale del vicariato e, in qualità di direttore della pastorale giovanile, principale ideatore e promotore della dieci giorni affermava: "È stata un’esperienza unica ed eccezionale perché l’abbiamo fatta insieme. Abbiamo messo a frutto le nostre esperienze più diverse, dai gruppi di preghiera di Padre Pio a quelli vivacissimi di Gesù ama e della Comunità Maria, ai focolarini, seminaristi, religiose, sacerdoti di tutte le età…. Un’esperienza che ci ha permesso di realizzare quello che il papa ci aveva chiesto nella Pentecoste del ’98 e cioè che i movimenti lavorino insieme nell’unica chiesa".
Una tappa fondamentale, dunque, nel progetto di pastorale integrata che tanto sta a cuore al card. Ruini e ai suoi collaboratori della chiesa di Roma. Tante le esperienze, le impressioni, i ricordi dei 460 missionari. Andrea, 16 anni, si era iscritto solo per dare un contributo nel coro, formato da tutti i movimenti, che avrebbe animato le messe. "Non me la sentivo, assolutamente – dice -, i primi giorni, di andare per strada a cantare e ballare o a fermare la gente per cercare di evangelizzarla, ma, avevo fiducia: dato che lo facevamo per Dio lui era con noi e avrebbe parlato lui per me. Il culmine è stato gli ultimi giorni, quando mi sono proprio sentito portatore di Spirito Santo e sono riuscito a fare ciò che non avrei mai pensato di fare. Una sera, infatti, entrando a Sant’Agnese in Agone, ho visto il mio nome tra i missionari che dovevano andare in una scuola a parlare nelle classi: non mi sentivo in grado. Sono entrato in chiesa, durante l’adorazione eucaristica, ed ho affidato tutto a Gesù, ho scritto la mia preghiera in un foglietto, l’ho portato sotto l’altare e ne ho preso un altro già scritto. Era la risposta alla mia domanda: Ma l’angelo gli disse: ‘Non temere Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita (Lc 1,13)’. La mattina seguente sono andato con altri quattro missionari, avevamo esperienze diverse ma la stessa voglia di portare Gesù a quei ragazzi. Da quella mattina ho acquisito un altro atteggiamento per gli impegni missionari, pensando che io sono solo uno strumento di Dio, messo in terra da lui per compiere la sua volontà che è santa".
Suor Manuela, 26 anni e una grande vitalità. "Desideravo tanto fare un’esperienza di chiesa – mi racconta – e la sto facendo perché ci sono tante realtà ecclesiali, tanti giovani che hanno incontrato Gesù e desiderano farlo conoscere così come si vuole far conoscere il proprio migliore amico. Anche i ragazzi più lontani, più strani, con i capelli rasta, colorati, dark, quelli che inizialmente ridono appena ti vedono, sono quelli che vogliono conoscere Gesù, vogliono sapere chi è, si chiedono perché siamo in 400 in giro a spendere il nostro tempo per quest’ideale. Così è successo ad esempio in un liceo artistico: ambiente tutto dipinto, ragazzi con i capelli dal blu al fucsia, tatuaggi, piercing ovunque. Quando iniziano a capire che tu sei come loro, ma hai trovato qualcuno per cui scommettere tutta la tua vita e qualcuno che su di te ha scommesso la sua vita, succede che vedi tanti occhi lucidi… Ti accorgi che di sete di Dio ce n’è davvero tanta. Mi sembra di vivere il periodo dei primi apostoli che andavano in giro nelle città pagane, che spesso non venivano accettati ma avevano il coraggio di dire: ‘Noi vi annunciamo Gesù’ perché comunque si è trattato di uscire allo scoperto. Inizialmente magari provi un attimino di imbarazzo però allo stesso tempo questo ti fa sentire pienamente cristiano, ti fa riscoprire ancora di più la tua identità". "Sì – mi conferma Giuliano -, abbiamo visto che c’è un grande bisogno di Dio anche a Roma dove ci sono tante chiese ma nel cuore dei giovani c’è poco spazio per Gesù. Nelle scuole portavamo ai ragazzi la nostra esperienza, il nostro incontro personale con l’amore di Dio e in questo modo, magari fotografando i nostri momenti difficili, siamo riusciti a toccare quell’angolino nascosto del loro cuore, ad incontrare quella profonda solitudine interiore dove spesso nessuno arriva".
Alessandra Roccasalvo ha coordinato i contatti con le scuole. "Abbiamo imparato dal papa come avvicinare i giovani: amarli prima di tutto; parlare la stessa lingua (da giovane a giovane è facile); dare Gesù in maniera diretta – mi dice -. Tanti hanno chiesto: ‘Tornate, non ci lasciate’. Un ragazzo che si faceva le canne davanti alla scuola, supplicava i missionari: ‘Ma adesso finirà tutto? E chi penserà a me, verrete a trovarmi ancora?. Non è vero che i giovani non vogliono sentir parlar di Dio, bisogna proporglielo in modo intelligente, non annacquato, senza paura". "Sono stata a fare volantinaggio nelle strade – racconta Silvia – ed anche nel due a due, cioè in giro a fermare i ragazzi per parlar loro di questa iniziativa, invitarli e lasciare una preghiera o un piccolo vangelo. Sai, non è per niente facile ma è davvero bello perché tu sei lì a parlare per testimoniare Dio e questo non è poco, è straordinario". "L’importante è non avere riserve nell’annuncio che fai – aggiunge Paola -. Se tu ti vergogni gli altri lo capiscono ma se tu lo annunci con la gioia, quello che colpisce di più non è quello che dici ma… l’occhio che ti brilla quando parli di Gesù". "È stato un laboratorio di spiritualità verso i giovani romani ma prima di tutto per noi missionari è stato un modo semplice e concreto per conoscerci a fondo e riscoprire, attraverso l’incontro personale con il papa, l’appartenenza comune alla chiesa", dice Antonella. Forse per questo una coppia di svedesi protestanti rimane stupita quando viene a sapere che si tratta di giovani di diversi movimenti. "Davvero? Vediamo solo dei cristiani", esclamano.
"Con questa missione c’è un prima e un dopo", conferma Vincenzo. Il dopo, tutto nelle mani di Dio, fa intravedere nella chiesa di Roma nuovi grandi orizzonti di comunione. Intanto basta dare un’occhiata al sito www.gesualcentro.org per accorgersi che la missione… continua