Dio nella storia
Dopo che Dio ebbe finito di creare il mondo, nel settimo giorno si riposò, più esattamente fece shabbat (da cui il nostro termine sabato). Per quanto la traduzione italiana renda usualmente il termine con l’espressione “si riposò”, il suo esatto significato è quello di astenersi, fare un passo indietro.
Ma non si tratta solo di una questione terminologica, perché – scrive Santi Grasso nel suo volume Ma Dio interviene nella storia? (Città Nuova, 2022) – lo shabbat è «il modo con cui Dio si rapporta costantemente alla storia umana». Questo atteggiamento di astensione, allora, mette in risalto la responsabilità che l’uomo ha nei confronti della propria vicenda terrena.
Parte da qui il cammino di Grasso attraverso l’Antico e il Nuovo Testamento, teso a indagare come Dio sia effettivamente intervenuto nella storia d’Israele e quanto spesso letture superficiali delle Scritture ne abbiano frainteso il senso più autentico. La logica, infatti, di un Dio interventista che entra provvidenzialmente nella storia (le Scritture non hanno un termine equivalente al concetto di provvidenza) e stermina i nemici, qui quelli del popolo ebraico, è spesso frutto di un’interpolazione degli autori biblici, che peraltro hanno costruito racconti simbolici più che riportare cronachisticamente fatti reali.
Lungo il percorso che va dalla Genesi all’Apocalisse, invece, si erge improvvisa la croce di Cristo, vero scandalo per le genti. Se si fosse trattato di un ingresso trionfale di Dio nella storia probabilmente il Figlio dell’Uomo sarebbe sceso dalla croce dimostrando chi era realmente. Ma così non è stato. Non solo. I Vangeli ci raccontano che il velo del tempio si squarcia.
Dal momento che il tempio di Israele non aveva un velo, cosa si è realmente squarciato? Simbolicamente, dice Grasso, la sacralità del tempio che lascia il posto alla sacralità della croce, il nuovo luogo d’incontro con Dio, il più autentico modo dello stare di Dio presso l’uomo.
Si tratta, allora, di andare oltre una visione riduttivamente miracolistica dell’azione divina, spesso ignara di tanto simbolismo biblico, per porsi in ascolto della voce per lo più silenziosa dello Spirito, come impara dolorosamente il profeta Elia, cui Grasso dedica pagine di grande intensità.
Proprio un tale ascolto dovrebbe guidare le azioni degli uomini, i quali al dunque sono personalmente artefici della loro storia.
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