Dio amore e la preghiera

Una scoperta folgorante è all’origine di quella nuova spiritualità di cui lo Spirito Santo, attraverso Chiara Lubich e il Movimento dei focolari, da lei fondato, ha fatto dono al nostro tempo. È la scoperta di un Dio che, perché amore, ama ciascuno di un amore infinito, personale. Chiara lo andava incessantemente ripetendo alle sue prime compagne, così come a chiunque veniva in contatto con lei: “Dio ti ama immensamente. Dio ci ama immensamente”(1). Ricordo l’impressione profonda che anche in me ha suscitato questo annuncio: ne ho percepito l’importanza fondamentale, la novità, direi, per me assoluta. Nondimeno, a distanza di anni, viene da chiedersi: quanto ne sono stato realmente cosciente? Quanto ne ho compreso pienamente la portata? La nostra comprensione di Dio e del suo agire si lega infatti spesso a determinate nostre prospettive, si misura sul nostro limitato sentire, si esprime attraverso nostre particolari categorie di pensiero. Può accadere allora che, sentendoci talvolta imperfetti e quindi tanto poco degni dell’amore di Dio, trasferiamo, in certo modo, questa nostra percezione in Dio e finiamo per credere che egli non può amarci o, al più, può amarci solo parzialmente. In realtà non è così. Dio ci ama sempre, infinitamente, e il suo amore ci è vicino e ci sorregge in ogni istante dei nostro cammino. Se vogliamo tratteggiare per immagini le caratteristiche dell’amore di Dio, la prima che balza in evidenza è un’immagine familiare alla Sacra Scrittura e presente in molti autori spirituali: Dio ci ama come lo sposo ama la sua sposa. Egli, simile a colui che è perdutamente innamorato, ama al di là dei valore stesso della persona amata; la ama cioè a tal punto da vedere che in lei tutto è bello, tutto è positivo, tutto è comprensibile, perfino le sue deficienze che, seppur viste, vengono tuttavia trascese e sublimate dall’amore. Ma vi è ancora un’immagine che, in maniera altrettanto efficace, dice l’amore di Dio verso di noi. È l’immagine dell’amore di una madre la quale, qualunque sia la situazione in cui il figlio si trova, fosse anche la più dolorosa e riprovevole, è sempre pronta ad aspettarlo, ad accoglierlo, dimentica di tutto. Perché così è l’amore materno: inestinguibile, essenziale. È l’amore di cui, in forma eccelsa, ha dato prova Monica per il figlio Agostino. Eppure, al confronto di quello di Dio, l’amore di Monica non ne è che un pallido riflesso. Il vangelo ce lo rivela in pagine toccanti e, a un tempo, misteriose. È infatti, quello di Dio, l’amore sconvolgente di un padre che va incontro al figlio perduto (cf. Lc 15, 11-32), che lascia le novantanove pecore per andare in cerca di quella smarrita (cf. Lc 15, 4-7), che invita a perdonare il prossimo “settanta volte sette”, così come anche lui ci perdona senza misurare (cf. Mt 18, 21-22). Di più: è l’amore del Padre che giunge fino a mandare il Figlio – lui stesso Dio, uno della Trinità – ad assumere la nostra natura umana e a morire per noi – lui, uomo come noi uomini -, al fine di redimerci da ogni peccato e introdurci così nella festa dei suo Regno. Quando si giunge ad attingere, anche solo per un istante, la realtà di un simile amore, allora tutto si trasforma: la vita che ci è data, il mondo che ci circonda, ogni circostanza lieta o triste: tutto acquista il timbro di un dono personale di Dio per me che mi vuole santo come lui è santo (cf. 1 Pt 1, 16). Questo è il fondamento di tutta la vita cristiana: questo amore di Dio per ciascuno, di Dio al quale dobbiamo ridonarci rispondendogli in maniera totale. La nostra risposta d’amore Ma in cosa consiste questa risposta? Quale ne è l’essenza profonda? Occorre innanzitutto rilevare che l’amore di Dio per noi è talmente grande che trasforma in Dio colui che si lascia totalmente afferrare da esso, per cui il vero ritorno dell’uomo a Dio diventa, in certo modo, il ritorno di Dio a sé stesso. È questo il momento più alto e più vero di ciò che chiamiamo preghiera. In realtà, con questo termine si suole indicare piuttosto le molteplici espressioni della preghiera, che vanno dalla preghiera di domanda a quella mentale, dalla preghiera liturgica a quella sacramentale: espressioni senz’altro tutte atte a farci entrare in rapporto con Dio o ad estrinsecarne la realtà intima, ma che tuttavia non coincidono mai completamente con essa. Fra la preghiera e le preghiere passa infatti una differenza sostanziale che cercherò di illustrare iniziando dalla preghiera più inconscia, ma non per questo meno essenziale. Quando di notte i nostri occhi si alzano a guardare il cielo stellato, vedono un universo di sterminata bellezza che incanta e stupisce nella sua tacita obbedienza a una legge: legge di vita e di armonia che fin dall’inizio lo ha costituito e che in ogni attimo lo sostiene; legge che da sola testimonia il Creatore. E se così è degli astri dei cielo, così è delle piante e dei fiori, che “sanno” quando sbocciare e fiorire, quando fruttificare e morire. Una profonda relazione lega dunque tutti gli esseri viventi a Dio; relazione che – oso dire – è profonda preghiera perché essi, con il loro solo esistere, inconsciamente lo riconoscono e lo seguono, “narrandone la gloria” (Sal 18, 2). Ma questa recondita preghiera trova espressione – e la più alta, perché cosciente e libera – anche nell’uomo. È la preghiera che nasce quando questi, ancor prima di entrare in colloquio con Dio, lo riconosce come Padre che lo ha creato e lo sostiene nell’essere al pari di tutto l’universo. Il rapporto con Dio si staglia allora nella sua realtà di fondamento, vitale e medicinale insieme. Un rapporto quindi che l’uomo è chiamato a stabilire quotidianamente con lui o a domandarglielo, così come alcuni maestri dello spirito, in un’originale esegesi dell’invocazione dei Padre nostro: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano “, invitano a fare. Vediamo allora i diversi modi in cui tale rapporto può svilupparsi. Le varie forme di preghiera Inizio da una forma di preghiera che apparentemente può non sembrare tale. È la preghiera di offerta. La vive chi, prostrato da sofferenze fisiche o spirituali, incapace di tutto, perfino di parlare, offre a Dio, anche se nello spazio di un solo istante, tutta la sua esistenza. Per questo tale forma di preghiera può considerarsi forse la più profonda, perché innesta l’anima in quel punto ove il contatto con Dio si fa immediato e diretto. Ma anche il lavoro può assumere la forma di una preghiera di offerta. Penso in particolare a coloro che durante il giorno sono sopraffatti dalla fatica fisica, tanto da essere quasi impossibilitati a raccogliere le forze necessarie per dedicarsi a pregare. Ebbene, anch’essi, se al mattino con una semplice intenzione offriranno a Dio la loro giornata, avvertiranno di vivere in continua relazione con lui e alla sera, nel silenzio di un pur breve raccoglimento, troveranno l’unione con lui. È questo, in fondo, ciò cui l’umanità di oggi si mostra particolarmente sensibile, che cioè tutto l’universo e quanto in esso si compie si possa trasformare in una grande preghiera che incessantemente si leva a Dio. D’altro canto, a chi consacra la sua vita al Signore è data la possibilità di dedicare parte del suo tempo al colloquio esplicito con Dio mediante l’esercizio di determinate pratiche di pietà. Per questi rimane comunque sempre decisivo e fondamentale l’ammonimento di Gesù: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel Regno dei cieli, ma colui che fa la volontà dei Padre mio che è nei cieli” (Mt 7, 21), a sottolineare che ciò che vale è il rapporto autentico con Dio e non il moltiplicarsi di formule puramente esteriori. Fra le varie forme classiche di preghiera, quella liturgica rappresenta la preghiera per eccellenza, poiché in essa è la chiesa che prega. La preghiera liturgica ha infatti una caratteristica fondamentale: è preghiera comunitaria, ove ognuno entra in rapporto con Dio insieme ai fratelli. E ciò accade non semplicemente perché si partecipa ad essa riuniti contemporaneamente in assemblea, ma piuttosto perché è allora che si rinnova il misterioso incontro dell’umanità, significata nella chiesa, con Dio: incontro che lui stesso suggella con la sua presenza, culminante nell’eucaristia, sì da farci uno fra noi e “indiarci”. Un’altra via maestra per conseguire il rapporto con Dio ci è offerta dalla meditazione. Essa è come un itinerario che dà a colui che la pratica regolarmente, con l’ausilio di scritti spirituali, di entrare in colloquio intimo con Gesù, di avvertirne in fondo all’anima la presenza viva di Dio che ci riempie di sé, bruciando le nostre miserie, indicandoci la via da seguire, infondendoci la pace. È il contatto con lui che rinfranca e che sana, così come un giorno ha sanato la donna inferma di cui narra il vangelo, la quale era convinta che, se solo avesse toccato le sue vesti, sarebbe guarita (cf. Mc 5, 25-34). Egli infatti ama davvero le anime che si mettono così di fronte a lui, anche se sono sotto il peso dei peccati più gravi. Ma Dio, nel suo stupefacente amore, ha voluto legare tante grazie da effondere sul mondo alla nostra intercessione. È questa la preghiera di domanda. Dio la attende da noi per darci la gioia di cooperare con lui alla salvezza dei mondo. E tale preghiera diviene sommamente efficace quando, rivivendo in noi il mistero di morte e risurrezione dei Figlio suo incarnato, giungiamo fino a far nostre le parole di Paolo: “Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore dei suo corpo che è la chiesa” (Col 1, 24). Un’altra forma di preghiera è quella vocale. È una preghiera che la chiesa tanto raccomanda per farci immergere con tutto il nostro essere in quella intimità spirituale con Dio che è già sulla terra un preludio dei Cielo. Essa trova forse la sua espressione più bella nel rosario alla Vergine Maria, con il quale – come splendidamente afferma Giovanni Paolo Il – si dà voce a “quell’amore che non si stanca di tornare alla persona amata con effusioni che, pur simili nella manifestazione, sono sempre nuove per il sentimento che le pervade”(2). Concludendo, vorrei almeno accennare a una speciale forma di preghiera, quella che nasce quando un rapporto di vero amore cristiano lega uomo a uomo, fratello a fratello. È allora che Gesù, come attirato da quel vicendevole amore, misteriosamente ma realmente si fa presente fra loro (cf. Mt 18, 20). Ogni diaframma sembra cadere e il rapporto con lui farsi, in certo modo, tangibile. Si comprende allora perché questa presenza di Gesù raggiunge l’essenza della preghiera, è essa stessa preghiera, implicita ma sostanziale. Nella famiglia di Nazareth, con Gesù, Maria e Giuseppe, questa preghiera ha raggiunto il suo culmine. A noi avvicinarsi sempre di più a quel modello, anche se esso resterà irraggiungibile. 1) Cf. C. Lubich, Una via nuova. La spiritualità dell’unità, Città Nuova, pp. 31-34. 2) Rosarium Virginis Mariae, 26. PASQUALE FORESI, sacerdote dal 1954, è considerato da Chiara Lubich un confondatore del Movimento dei focolari. Laureato in teologia alla Pontificia università lateranense, è licenziato in filosofia e teologia alla Pontificia università gregoriana. Per Città Nuova ha pubblicato Teologia della socialità (1963); L’agape in san Paolo e la carità in san Tommaso (1965); Il testamento di Gesù (1966); Appunti di filosofia. Sulla conoscibilità di Dio (1967); Fede, speranza, carità nel Nuovo Testamento (1967); Parole di vita (1969); Problematica d’oggi nella chiesa (1970); L’esistenza cristriana (1989); Conversazioni di filosofia (2001).

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