Dino Impagliazzo, lo chef dei poveri diventa commendatore
«Qualche sera fa mi arriva una telefonata. Una voce femminile mi dice: “Telefono a nome della segreteria del presidente della Repubblica, il quale vuole conferirle l’onorificenza di commendatore”. Io non me l’aspettavo e ho detto: “Sta scherzando? Non mi prenda in giro, per carità…”». Dino Impagliazzo, pensionato di 89 anni, una vita dedicata agli altri – e in particolare ai poveri – ricorda ridendo di come ha saputo che Sergio Mattarella ha deciso di nominarlo commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana.
Insieme a lui, altre 31 persone, “esempi civili” «che si sono distinti per atti di eroismo, per l’impegno nella solidarietà, nel soccorso, nella cooperazione internazionale, nella tutela dei minori, nella promozione della cultura e della legalità, per le attività in favore della coesione sociale, dell’integrazione, della ricerca e della tutela dell’ambiente». Tra questi ci sono la preside di Scampìa Rosalba Rotondo, per la dedizione ai giovani e l’inclusione delle minoranze, suor Gabriella Bottani, coordinatrice di “Talitha Kum”, l’impegno contro la tratta di esseri umani, Riccardo Zaccaro, 22 anni, che ha salvato una persona che voleva suicidarsi e una coppia dall’incendio della propria casa, Paolo Pocobelli, fondatore di Ali per tutti, associazione che garantisce le pari opportunità alle persone con disabilità, e tanti altri.
Dino è stato premiato «per la sua preziosa opera di distribuzione di pasti caldi e beni di prima necessità ai senzatetto» di Roma. Lo “chef dei poveri” ha cominciato circa tredici anni fa preparando dei panini insieme alla moglie e ai figli, poi coinvolgendo i vicini e gli amici, fino alla fondazione dell’associazione Quelli del quartiere e poi di Romamor, che riunisce circa 300 volontari e garantisce pasti per oltre 250 persone al giorno, grazie a una rete di solidarietà che coinvolge commercianti (dai piccoli negozianti ai grandi supermercati, che donano i prodotti invenduti o prossimi alla scadenza) e organizzazioni come la Comunità di Sant’Egidio e il Banco alimentare del Lazio.
Tante persone arrivano negli spazi messi a disposizione dai padri Rogazionisti in via Tuscolana 169 a Roma anche grazie al portale Romaltruista, scegliendo di dare una mano nella sezione “Tutti ai fornelli”. Nel centro, si puliscono le verdure e si preparano i piatti caldi che vengono poi serviti ai poveri delle stazioni Tuscolana e Ostiense, e a quelli che stazionano sotto il colonnato di san Pietro. I volontari assicurano assistenza sanitaria, legale e lavorativa e il sabato raccolgono e distribuiscono anche vestiario, calzature e materiale per l’igiene personale a chi è in difficoltà. Mentre intervisto Dino, il telefono squilla di continuo. Chiama anche Mohamed, uno dei frequentatori del centro: è venuto a fargli gli auguti. Appena vede Dino sorride, lo abbraccia e dice che sì, Dino è proprio una brava persona e lui gli vuole davvero bene. In una pausa tra le telefonate, ci appartiamo qualche minuto per un breve intervista, che è più una chiacchierata tra amici.
Dino, quando ti hanno chiamato dalla presidenza della Repubblica hai pensato ad uno scherzo?
Sì, ma la signora che ha chiamato mi ha detto: “Guardi che non sto scherzando”. Poi mi ha dato il numero della segreteria della presidenza della Repubblica, io ho telefonato e ho capito che era vero. Non me lo aspettavo. Dicevo tra me e me: “Che ho fatto per avere questa onorificenza?”. Nel mese di febbraio dovremo trovarci con tutti quelli che hanno ricevuto l’onorificenza perché ce la consegnerà direttamente il presidente della Repubblica.
Cosa ne pensi di questa onorificenza?
Sono contento per me, ma soprattutto per gli altri: per questi volontari che da tempo, con puntualità, con gioia, lavorano per i poveri. È un’onorificenza per me, ma anche per tutti loro. Sono contento, vengono finalmente riconosciuti le fatiche e i lavori che fanno per gli altri, a prescindere dal credo religioso, perché qui ci sono atei, musulmani, cristiani… Tutti hanno in comune il voler essere utili alle persone in difficoltà. Si mette in pratica la regola d’oro che dice: “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”.
La tua famiglia che ha detto?
È stata un po’ sorpresa, ma erano tutti contenti, sia i figli che la moglie. Abbiamo ricevuto tantissime telefonate, a tutte le ore. Hanno capito che siamo voluti bene.
Chi sono i poveri per te?
I poveri per me sono Gesù quando dice: “Qualsiasi cosa avete fatto a questi piccoli l’avete fatta a me”, o “avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo freddo e sete…. Quando hai fatto questo e quest’altro per qualcuno, lo hai fatto a me…”. Questo è il mio credo. Credo nell’unità dell’umanità. Siamo tutti esseri viventi del genere umano, siamo tutti allo stesso livello, perché siamo tutti figli dello stesso Padre. Siamo fatti della stessa sostanza. Se una parte del mio corpo è in difficoltà, mi fa male, che faccio? Me la taglio? No, cerco di aiutarla, di guarirla, e così avviene anche per quanto riguarda il rapporto con i poveri e con la gente in genere. Questi sono i principi che mi reggono.
Qual è il vostro impegno settimanale?
4 giorni alla settimana cuciniamo per i poveri. Stasera cuciniamo per 200 persone, perché in questo periodo – siccome è cominciata l’emergenza freddo –, alcune parrocchie mettono a disposizione dei locali per dormire e per mangiare. Dei 200 pasti una parte, 140-150, vanno alla stazione Tuscolana, altri 50-60 vanno ai poveri che gravitano nel colonnato di san Pietro.
Qual è il menù della serata?
Abbiamo raccolto tante verdure e legumi, allora facciamo il minestrone. Poi due panini a testa, ma quelli per gli islamici sono separati perché non mangiano carne di maiale. Infine, la macedonia e i dolci, che tra poco arriveranno: li porta uno di noi che fa il giro delle pasticcerie per prenderli.
Se potessi esprimere un desiderio cosa chiederesti?
Il mio desiderio è che si diffonda l’amore per il prossimo e soprattutto per il prossimo che è in difficoltà, a iniziare da quelli che mi stanno attorno, dai miei conoscenti ai condomini del mio palazzo, dal quartiere, in modo che Roma diventi una città dell’accoglienza, in cui le persone si amano, si vogliono bene. Perciò l’associazione l’abbiamo chiamata Roma Amor, per il desiderio profondo di contribuire a far sì che Roma diventi la città dove regna l’amore.