Dimitris Papaioannou in lotta sotto una pioggia incessante

Autore di un personale linguaggio scenico, l’artista greco torna con una nuova versione di “Ink”, immerso in un costante gettito d’acqua che invade il palcoscenico. Al Teatro Argentina di Roma per il festival Equilibrio
Dimitris Papaioannou
photo ©Julian Mommert

È stato il primo artista a raccogliere l’eredità della celebre compagnia di Pina Bausch (scomparsa nel 2009), invitato a creare per il Tanztheater Wuppertal nel 2018, un nuovo lavoro dal titolo Since she, dove convergevano, in un perfetto connubio, i codici della Bausch e i quelli di Papaioannou. Ancor prima spettacoli come Still life, Primal Matter, l’indimenticabile The Great Tamer, e il più recente Transverse orientation che ha fatto il giro del mondo, hanno fatto conquistare a Dimitris Papaioannou notorietà e consensi internazionali (va ricordata anche la sua firma dell’apertura delle Olimpiadi di Atene del 2004, e l’inaugurazione dei giochi di Baku nel 2015).

Non è un vero e proprio coreografo, ma un uomo di teatro tout court. Ama definirsi un artigiano. I suoi spettacoli, inclassificabili, sono installazioni performative, coreografiche, corporee, densamente materiche, tableaux vivants che si animano di visioni, di metafore, di una potenza immaginifica scaturita da un pensiero creativo nutrito di arti plastiche e figurative, di storia e letteratura, di cinema e di musica, e di quella manualità d’Arte Povera elevata a poesia pura. Esplora i grandi archetipi della mitologia classica, e non solo, riportandoli al nostro tempo.

Dimitris Papaioannou
photo ©Julian Mommert

Creato nel periodo del lockdown, e presentato in prima assoluta, nel 2020, al Festival Torinodanza (che lo ha commissionato e coprodotto insieme al Festival Aperto di Reggio Emilia), Ink torna ora in una nuova versione con la musica originale di Kornilios Selamsis (co-realizzazione Teatro di Roma e Fondazione Musica per Roma Festival Equilibrio). Il titolo è riferito al nero dell’inchiostro, colore che serve a scrivere la vita, i pensieri, i sentimenti e le emozioni: «L’inchiostro, il fluido del polpo che è in scena… serve a elevare l’elemento carnale trasformandolo in spirituale», spiega Papaioannou. L’acqua è l’elemento predominante. «Uso spesso l’acqua negli spettacoli – ha dichiarato –. In questo caso però è diverso a livello emozionale e compositivo. È un tentativo di spostarmi in un territorio nuovo nella connessione fra azione ed emozione».

Dimitris Papaioannou
photo ©Julian Mommert

C’è, nella performance che vede sul palcoscenico lo stesso Papaioannou (classe 1964) insieme al giovane danzatore Šuka Horn (classe 1997), un vasto immaginario cinematografico che richiama le atmosfere piovigginose di Andrej Tarkovskij (in primis Stalker), e quelle fantascientifiche di Blade runner; le pose scimmiesche di Stanley Kubrick di 2001 Odissea nello spazio, come le creature di Alien di Ridley Scott, e quelle di Critters, film horror di Stephen Herek. E c’è il mito greco di Kronos, il dio che divora i figli per non perdere il suo potere, e molti riferimenti e suggestioni ricavate da più disparati materiali iconografici. La scena di grandi pareti di cellophane trasparente, s’apre su una fitta pioggia attivata da un irrigatore il cui gettito puntato in alto invade tutto lo spazio. Siamo dentro una stanza scura – la caverna di Platone, un rifugio antiatomico, una navicella spaziale, uno spazio della mente? ‒ con il palco invaso d’acqua. C’è un uomo vestito di nero – Papaioannou ‒, officiante di un rito solitario che ha fatto dell’acqua il suo humus. Si muove a proprio agio, sempre inzuppato, in quell’elemento naturale, azionando la potenza del sistema di irrigazione, posizionandolo, scoprendo i suoni e gli effetti visivi che il getto produce – l’esito è anche di un luccicante bianco e nero – riempiendo d’acqua una bolla di vetro e facendola roteare a terra. All’interno vi avrà immerso una sorta di viscida ameba, simile a un polipo, elemento determinante delle azioni (prima sbattuto a terra, e in ultimo, con una piccola testa, assumerà le fattezze di un neonato preso in braccio). A rompere quell’oscuro habitat è una figura misteriosa – il giovane nudo, bianco di pelle, in contrasto con l’adulto nerovestito – che avanza sotterraneamente da delle lastre di plexiglass, avanzando e indietreggiando verso l’uomo che cerca di bloccarlo premendo con i piedi. Quando lottando riuscirà ad alzarsi, l’adulto lo ingabbierà chiudendolo a cilindro, placandone la furia, e immobilizzandolo a terra. Liberatosi, una nuova lotta invertirà i ruoli e le posture dei due, sottostando ad altre posizioni di dominio e sottomissione, di seduzione e di complicità.

Dimitris Papaioannou
photo©Julian Mommert

La boccia sarà oggetto di equilibri precari, posta tra le gambe e tenuta a testa in giù; diventa fontana, pallone di gioco e altre immagini. Tra suoni cupi, lontani, la costante semioscurità si illuminerà di una luce calda nella sequenza in cui il giovane avanza sprofondato, a suo agio, dentro un minuscolo campo di grano mangiando tranquillamente e osservando il partner sdraiato fuori, che a sua volta lo scruta. Lo attirerà prima con una lunga corda, poi con un cambio di atmosfera illuminata di rossa, l’adulto diventerà un domatore da circo imbrigliando il partner trasformato in animale da baraccone, issato a una fune, maltrattato e schiavizzato. Altre sequenze segneranno gli accadimenti. È stato un sogno, un incubo o è stato tutto reale? Perché tutto è accaduto sotto i nostri occhi. A essere evocati nella visionaria performance di Ink, di questo viaggio nei meandri della psiche, sono i mostri della mente, la memoria del tempo, l’oblio della coscienza, il conflitto con sé stessi e con l’altro, il desiderio di evoluzione, di cambiamento, di un nuovo attraversamento. Così, nel contrasto tra i due uomini – sono padre e figlio, maestro e allievo, vittima e carnefice, vecchio e nuovo, passato e futuro? – ravvisiamo la brama di paternità, di amore, di amicizia, di comando e assoggettamento, tra attrazione e respingimento, seduzione e timore, durezza e tenerezza. «È proprio la differenza di età tra i due personaggi – ha spiegato Papaioannou – che dà tensione al loro rapporto. Il giovane è sul finire della sua vita, l’altro ci sta entrando. Il primo impara e forse cerca di uccidere l’anziano. E questi da parte sua funge da ispirazione, ma forse c’è anche una certa tendenza a divorare il figlio. L’acqua, invece, è l’archetipo dell’inizio di tutto. Per me è la forza vitale che tutto fa, tutto trascina». Come di rado accade in teatro, Papaioannou riesce a dirci, attraverso la potenza evocativa delle sue immagini oniriche, qualcosa dei nostri rapporti tra persone, e ad accendere le nostre inquietudini, suscitando solamente bellezza.

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