Dimissioni in bianco e gravidanza

Nel nostro Paese nonostante una legge che tutela le donne lavoratrici, i dati Istat parlano di un aumento dei licenziamenti volontari quando si aspetta un bambino
mamma

Quanto dura l’indignazione? Il tempo di cambiare canale alla ricerca di evasione? Sarà pure una fotografia che non ci piace, ma i dati della relazione Istat 2010 mostrano la situazione reale del Paese. Diffusi a fine maggio sono stati archiviati da un sistema informativo che deve consumare in fretta il menù del giorno. Ma un valore indicativo tra gli altri dovrebbe far riflettere.

Tra le più giovani generazioni aumenta per le donne il numero delle interruzioni del rapporto di lavoro «più o meno imposte dal datore di lavoro» a motivo dell’ attesa di un figlio. «In questo contesto lavorativo sempre più precario le “dimissioni in bianco” quasi si sovrappongono al totale delle dimissioni».

 

L’Istituto di statistica, come sempre, rende disponibili e pubblici le relazioni e i dati con tanto di tabelle e grafici. Una conoscenza accessibile, che diventa perciò un bene comune, che potrebbe non rimanere fine a se stessa. Esiste anche un blog http://blog.istat.it/ per commentare e dialogare sui dati resi pubblici il 23 maggio.

 

Già l’indagine “Uso del Tempo” del 2008-2009 aveva esaminato le interruzioni per costrizione avvenute in occasione di una gravidanza, cioè il numero di madri tra 16 e 64 anni, che lavorano o hanno lavorato in passato, e che nel corso della propria vita lavorativa sono state licenziate o messe in condizione di lasciare il lavoro (attraverso proprie dimissioni), in occasione o a seguito di un bambino e le cifre si attestano su dati sconcertanti: circa 800 mila casi.

 

Le cifre sono confermate dalle storie. Mapi ha 32 anni ed è fidanzata da quattro. La sua azienda opera nel campo delle forniture elettriche. Dopo due anni di contratti a tempo determinato il suo capo le ha proposto un contratto sicuro, ma ad una condizione: nessun bambino per quattro anni e se dovesse accadere il licenziamento garantito. Daniela che invece lavora in una fabbrica di componenti elettronici, il lavoro l’ha proprio dovuto lasciare per un figlio, mentre Marisa (nome di fantasia) giornalista, non ha detto al suo direttore di essere incinta e lo ha rivelato solo dopo la firma del contratto, con la conseguenza di vedersi assegnati lavori non conformi alle sue competenze.

 

Come mai non riusciamo a liberarci da questa pratica odiosa delle dimissioni fatte firmare su foglio in bianco alle donne come una sorta di assicurazione contro le complicazioni di avere in forza una lavoratrice madre? Eppure una legge molto pragmatica era stata varata nell’ottobre 2007 con l’unanimità della Camera. Introduceva l’obbligo di alcuni formulari numerati che non potevano compilarsi se non al momento delle effettive dimissioni. Certo le pressioni verso l’espulsione dal mondo del lavoro possono avvenire in tanti modi che non richiedono per forza la firma in bianco che comunque rappresenta sempre un reato ( violenza privata ed estorsione). Per non parlare di tutto il mondo del sommerso.

 

Ma questa legge a difesa della maternità ha ricevuto, da subito, un fuoco di fila di proteste da parte delle aziende e degli operatori per regolamenti attuativi e circolari applicative giudicate contraddittorie. Con un decreto legge del giugno 2008 è stata, infatti,immediatamente abrogata in nome della «semplificazione e riduzione dei costi di transazione nella gestione dei rapporti di lavoro». Di fatto senza trovare una soluzione alternativa per contrastare un fenomeno così diffuso e che mette a rischio seriamente il futuro lavorativo del nostro Paese. 

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