Dimissioni del governo egiziano
Nelle ultime settimane i media occidentali non hanno dedicato né immagini né tempo all’Egitto, seguito con interesse e trepidazione nei mesi scorsi a seguito della caduta di Morsi. Anche se altre criticità internazionali hanno assunto una rilevanza maggiore e giustificano una visibilità quotidiana, non si può dimenticare che la situazione del Paese del Nord Africa non ha mai cessato di essere problematica, come ha dimostrato, ieri, l’improvvisa decisione del governo di dimettersi in blocco. A sette mesi dalla sua nomina, il premier Hazem al-Beblawy, settantasettenne economista, co-fondatore del Partito socialdemocratico ha rassegnato le dimissioni con tutto il suo gabinetto, senza fornire ragioni chiare per una decisione che ha colto tutti di sorpresa, nonostante ci si attendesse un rimpasto governativo.
Dal Cairo, ci riferiscono che nelle ultime settimane, il governo egiziano si è trovato oggetto di una forte pressione, prima per le rivolte violente da parte della Fratellanza musulmana e, poi, per gli attacchi terroristici da parte del gruppo Ansar Bait al-Maqdis del Sinai che hanno scosso l’intero Paese. A tutto questo si sono aggiunti scioperi ad oltranza da parte degli impiegati statali, degli operai delle grandi industrie tessili a Mahalla nella zona del delta del Nilo, degli autisti di pullman e del servizio postale. La motivazione è la richiesta di aumenti salariali.
La situazione economica, infatti, è molto precaria e le riserve sono arrivate al minimo storico. Le conseguenze si sentono anche nel quotidiano con continui tagli di corrente elettrica. È la prima volta che accade, dicono dall’Egitto, durante l’inverno. Anche le scuole sono chiuse, almeno la maggioranza, da tre settimane e questo per motivi di sicurezza, nonostante il ministero dell’Educazione abbia motivato questa decisione con i numerosi casi di morti dovuti all’influenza suina. Gli studenti restano a casa e, almeno nelle grandi città, molte scuole caricano le lezioni online per raggiungere gli allievi via internet.
La manovra delle dimissioni da parte del governo in carica negli ultimi mesi è, con tutta probabilità, da collegarsi anche alle elezioni ormai imminenti. Si svolgeranno a metà aprile le presidenziali, che sembrano ormai appannaggio del maresciallo Al Sisi. Intanto, per un nuovo governo ad interim circola insistentemente il nome dell’attuale ministro dei Lavori pubblici, Ibrahim Mahlab.
Nel corso della comunicazione televisiva in cui ha ufficialmente formalizzato di fronte al Paese la sua decisione di dimettersi, il primo ministro Hazem al-Beblawi ha dichiarato che «le riforme non possono avvenire solo attraverso il governo. Tutti gli egiziani debbono essere impegnati a realizzarle – ha sottolineato il leader dimissionario –. Dobbiamo tutti sacrificarci per il bene del Paese. Più che chiederci che cosa l’Egitto ci ha dato, dovremmo interrogarci su cosa abbiamo fatto noi per l’Egitto», ha concluso. Nel corso dell’intervento televisivo, Beblawi ha tenuto a precisare che il suo governo aveva deciso di accettare la responsabilità della guida del Paese in attesa di una nuova Carta costituzionale e di nuove elezioni, in quanto i suoi membri erano fra i pochi disposti ad accettare le sfide di un momento drammatico per la storia egiziana.
Al-Beblawi è una figura di spicco a livello internazionale, avendo ricoperto la carica di sottosegretario generale delle Nazioni Unite, fra il 1995 ed il 2000. Nell’ambito della politica interna egiziana, oltre ad essere uno dei fondatori del partito socialdemocratico, aveva ricoperto l’incarico di ministro delle Finanze nel governo di Essam Sharaf per rassegnare poi le dimissioni nell’ottobre 2011 come presa di posizione decisa contro gli incidenti a Maspero, nel centro del Cairo, fra la polizia militare e cristiani copti, in cui erano morte 28 persone.
Nei giorni scorsi, i leader delle Chiese cristiane presenti in Egitto si erano riuniti per celebrare, presso la cattedrale copto-ortodossa di san Marco al Cairo, il primo anniversario della costituzione del National Council of Christian Churches. Nel 2013, infatti, i leader delle cinque Chiese presenti nel Paese nordafricano – copto-ortodossa, copto-cattolica, greco-ortodossa, anglicana e protestante – avevano firmato un accordo di grande significato ecumenico per sancire la nascita di un organismo nazionale che riunisse le diverse chiese cristiane. Recentemente, il vescovo copto-cattolico, Assiut Kyrillos William, ha affermato che «la costituzione del National Council of Churches ha rappresentato un passo importante per tutti noi e possiamo già vederne gli effetti a livello locale. Durante la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani – ha affermato il vescovo – era evidente che i fedeli erano felici di vedere i loro leader insieme per una preghiera comune. Quest’anno, infatti – ha riferito ancora all'agenzia Fides Anba Kyrillos –, un vescovo copto-cattolico ha predicato in una chiesa copto-ortodossa. Qualcosa che non era mai accaduto in precedenza». Il clima che si è stabilito fra i vescovi e i leader delle varie Chiese cristiane è, lo riconoscono tutti, legato anche alla figura di papa Tewadros II, il nuovo capo della Chiesa copto-ortodossa.