Dimissionario nell’Anno della fede: perché?

Ci vuole proprio la fede per mostrare al tecnocratico ed efficientista Occidente, che nella Chiesa non si stia perdendo né tempo, né storia. E che invece essa sia custodita nelle mani migliori, quelle del Signore della Storia. In questo inatteso tempo di transizione è tutto il popolo di Dio ad essere coinvolto con la preghiera e con le opere
Benedetto XVI

L’ironica matita del vignettista senese Giannelli ha tratteggiato – sul Corriere della Sera del giorno dopo la notizia delle dimissioni del papa – il momento in cui, nella seduta del Concistoro, Benedetto XVI comunica la sbalorditiva decisione. Uno dei porporati presenti, dotato di accentuato senso pratico, suggerisce al vicino: «Possiamo fare un papato tecnico».

Si stenta ancora a credere che Ratzinger abbia preso una decisione del genere. Ha sorpreso tutti. Anche se, in verità, lucidi cenni ad una non impossibile dimissione li aveva manifestati da tempo. Sembravano solo considerazioni accademiche, dissertazioni teologiche su una fattispecie possibile ma oltremodo lontana dalla vita e dalle opzioni del diretto interessato. «Se un papa comprende di non essere più in grado fisicamente, psicologicamente e spiritualmente di assolvere ai doveri del suo ufficio allora ha il diritto di dimettersi», scriveva già il 23 novembre 2010. Eppure, che incredibile sorpresa quando l’Ansa ha battuto la notizia in prima mondiale (complimenti alla collega)!

Il mite, timido Ratzinger, uomo della grande sorpresa. Anzi, delle sorprese. Nessuno l’avrebbe immaginato in questi panni. Dopo il lungo pontificato di Wojtyla, tutto invenzioni, novità, fuochi d’artificio, gag, imprevedibilità, era impossibile – e sarebbe stato patetico il tentativo d’emulazione – raccoglierne una siffatta eredità. Se ne distinse perciò subito, prendendo debite distanze: «Dopo il grande papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore», mise subito in chiaro nel suo primo intervento da pontefice. Quasi a scusarsi della sua normalità e invocando la pubblica clemenza su quanto compiuto dagli elettori in Conclave. Insomma, vista l’età (fu eletto a 78 anni), sarebbe stato un pontificato di passaggio, senza guizzi.

Ed invece, proprio quando il sisma dei preti pedofili faceva tremare la Chiesa cattolica in varie nazioni, quando si allungava un’ombra di rancorosa sfiducia su tutto il clero, eccolo che tirò fuori dalla mitra la proposta dell’Anno sacerdotale (19 giugno 2009 – 11 giugno 2010). Un tempo opportuno per riflettere su identità, ruolo e missione del clero nei mutati tempi. Si trattò di una diffusa mobilitazione planetaria, che consentì, tra il resto, di mettere in luce la dirittura morale, la fedeltà al Vangelo, l’eroicità quotidiana della stragrande maggioranza dei parroci nelle diverse latitudini.

Passano solo 16 mesi dalle celebrazioni di chiusura di quell’evento e, con la Lettera apostolica Porta Fidei del 11 ottobre 2011,  indice un nuovo Anno, quello della fede, aperto esattamente un anno dopo e che terminerà il 24 novembre 2013.
Nove mesi prima di quel termine, Benedetto XVI ha rassegnato le dimissioni da vescovo di Roma, intenzionato a passare a mano più giovane e più forte il timone affidato al successore di Pietro.

«Quo vadis, Domine?», potrebbe riecheggiare nel cuore, quasi che quelle dimissioni suonassero alla stregua di una sottrazione a quelle vertiginose responsabilità. Viene da chiedersi – ora che sappiamo con certezza che la decisione era maturata da tempo – come mai non l’abbia resa operativa nell’Anno sacerdotale. Sarebbe stato, quello sì, l’anno giusto per far comprendere a seminaristi e preti, a vescovi e a eminentissimi che la vocazione sacerdotale è un’elezione altissima, che non la si può condurre con tiepidezza e animo impiegatizio, che se non si dà tutto non si è dato nulla. In buona sostanza, sarebbe stato – l’atto delle dimissioni – un gesto perfetto nella sua intensità evocativa e inequivocabile significanza.
Invece la grande rinuncia avviene nell’Anno della fede, proprio quando avrebbe potuto (e dovuto) dar prova di confidare a tal punto in Dio e nella sua amorevole onnipotenza da gettare il cuore paterno e la lucida mente oltre l’ostacolo, anzi, oltre i tanti ostacoli e le numerose tribolazioni.

Dunque, una decisione coraggiosa e saggia portata a compimento nel momento sbagliato? Sarebbe una lettura, quella sottesa alla domanda, assai superficiale, sprovveduta oltre che irrispettosa della statura della persona. Magari tra un po’ sarà lo stesso protagonista a motivare la scelta delle dimissioni in questo Anno.
Gesù viene svegliato quando la barca sembra sopraffatta dalla tempesta. Non è la resa di Pietro, come se fosse un navigante di primo pelo. Semmai è il segno e l’espressione della vicinanza sentita e della confidenza vissuta nei confronti di chi è realmente il timoniere, sempre operativo e operoso, del natante.
Piace pensare, ci si perdoni l'azzardo, che Benedetto XVI, con la sua scelta, chiami il Figlio di Dio ad un maggiore ruolo di governo. Da qui al 28 febbraio non dovrebbe prendere decisioni eccezionali (ma non si sa mai); poi seguirà la preparazione del Conclave ed il suo svolgimento; infine il suo successore dovrà entrare nella Curia, conoscerla e avviare, con i non febbrili tempi vaticani, il suo ministero di pastore universale. Si tratterà di un tempo in cui il governo della Chiesa (e tutte le gravi e urgenti decisioni da prendere) resterà nell’indefinita sospensione. Un lusso che non sarebbe proprio il caso di permettersi. Ed invece avverrà. E qui ci vuole proprio la fede a scongiurare la convinzione – nel tecnocratico ed efficientista Occidente – che non si stia perdendo né tempo, né storia. E che invece la Chiesa sia custodita nelle mani migliori, quelle del Signore della Storia. In questo inatteso tempo di transizione è tutto il popolo di Dio ad essere coinvolto in un sussulto corale di fede orante e operosa. Il miglior modo per vivere l'Anno.

Si è parlato di un’enciclica di Benedetto XVI sulla fede. Padre Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, ha ufficialmente dichiarato che non uscirà nulla del genere. Ovvio!, viene da esclamare. Non c’è più alcun bisogno di un testo. L’enciclica ce la sta proponendo con la scelta annunciata e con la prospettiva di vita che si è ricavato: preghiera e raccoglimento, ovvero il principale propellente per continuare a spingere la barca. Ci viene in soccorso su La Stampa Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose: «La presenza di Ratzinger nella Chiesa non si conclude. Sarà una presenza altra e non meno significativa: una presenza di intercessione. Si metterà cioè tra Dio e gli uomini». Altro che papato tecnico!

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