Dimettersi? Per favore!

L’italica incapacità di ammettere le proprie responsabilità. Spunti in diretta dalla disfatta calcistica
Il presidente della FIGC Carlo Tavecchio foto di Maurizio Brambatti per Ansa

Fossi stata Ventura, la sera del 13 novembre scorso mi sarei portata una cosa allo stadio San Siro di Milano, dove l’Italia si giocava l’ultima chance di qualificazione ai Mondiali di calcio 2018: una lettera di dimissioni già firmata, da consegnare o da strappare. A seconda del risultato. E come ct della nazionale mi sarei preparato anche a rilasciare una dichiarazione ai cronisti a fine partita: «Mi dimetto» o «Andiamo avanti». A seconda del risultato.

Com’è finita la partita lo sappiamo tutti; e sappiamo anche che queste dimissioni non sono mai arrivate. Ventura è stato esonerato alcuni giorni dopo.

Esito diverso per Tavecchio. Il presidente della Figc (Federazione italiana giuoco calcio), ha cercato strenuamente di rimanere al suo posto (o poltrona?). Alla fine, dopo una settimana, si è dimesso, accompagnando questo atto con una serie di accuse: nei confronti delle Leghe, che gli avrebbero voltato le spalle; verso i suoi stessi consiglieri che avrebbero cambiato atteggiamento; parlando di «ambizioni e sciacallaggi politici».

Esonero o dimissioni sono molto diversi fra di loro, è evidente. Ma forse Ventura e Taveccchio, non lo sono poi così tanto. Direi piuttosto che si assomigliano nell’atteggiamento di fondo che li ha caratterizzati: l’incapacità di ammettere le proprie responsabilità. Non si vuole qui un linciaggio di nessun tipo. Come Gigi Buffon, sempre elegante, ha affermato dopo la disfatta, si perde e si vince insieme, e i motivi di questo risultato “storico”, nel senso che rimarrà tristemente nella storia del calcio italiano (non accadeva da 60 anni che la nazionale non si qualificasse alla fase finale dei Mondiali), sono tanti. Troppo facile caricare la disfatta solo sulle spalle di due uomini, seppur con ruoli significativi.

Fa pensare questa vicenda, per tanti motivi ed anche perchè riflette l’abitudine tutta italiana di non riuscire ad ammettere i propri errori, l’incapacità di pronunciare quella frase, «Mi dimetto», che forse fa vacillare poltrone e svanire lauti compensi, ma almeno non fa venir meno la dignità.

Sì, fossi stata Ventura sarei andata a San Siro con le dimissioni in tasca. E lo stesso avrei consigliato a Tavecchio. Ma siccome sono un’altra persona, proverei ad imparare una lezione da questa vicenda. Se dovesse capitare a me qualcosa di simile, mi augurerei di averlo quel foglio in tasca. E intanto nella vita di ogni giorno cercherei di assumermi sempre le mie responsabilità, di non scaricarle su altri, di chiedere scusa per i miei errori senza paura di ammetterli, prima di tutto a me stessa.

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