Dimenticarsi a Béni-Abbès
Béni-Abbès è un nome che a molti fa venire in mente Charles de Foucauld, che in quell’avamposto algerino dal quale contava di spingersi fino in Marocco soggiornò dal 1901 al 1905. Tuttora esiste l’eremo con cappella da lui stesso costruito.
Siamo nella provincia di Béchar, a 1.200 chilometri da Algeri. Béni-Abbès, nota anche come la Perla della Saoura o l’Oasi Bianca, è delimitata a nord, est e ovest dal deserto sabbioso del Grande Erg Occidentale, e a sud e sud-ovest dalla valle del fiume Saoura. Il suo nucleo antico comprende sette ksar: villaggi fortificati utilizzati dai berberi per difendersi dagli attacchi nomadi, di cui alcuni ancora abitati.
Oggi è una città di circa 11 mila abitanti dove ogni anno, in occasione della festa per la nascita del profeta Maometto, affluiscono numerosi pellegrini e turisti: niente a che vedere col povero villaggio sperduto nell’immenso deserto sahariano che accolse il giovane de Foucauld nel periodo cruciale di spogliamento del suo io.
E L’oblio di sé, edito da Vita e Pensiero, è appunto il titolo di un’originale “autobiografia” di fratel Charles di Gesù, basata sui suoi scritti, su testimonianze e sulla conoscenza diretta dei luoghi dove egli visse. L’autore, il sacerdote e scrittore spagnolo Pablo d’Ors, vi traccia l’itinerario spirituale che trasformò il visconte e soldato de Foucauld di vita dissoluta in un pellegrino dell’Assoluto oggi venerato beato, il quale condivise la sorte dei più poveri tra le popolazioni sahariane. Non la solita biografia romanzata, ma un sorprendente affondo nell’anima di questo innamorato di Cristo e della sua vita nascosta, che ci lascia con la netta sensazione di aver fatto un incontro reale con lui.
Perché soffermarsi sul periodo di Béni-Abbès? Perché qui avvenne la purificazione di un uomo che portò fino all’estremo la sua donazione a Dio, coerentemente al motto inciso sul suo blasone nobiliare: «Mai indietreggiare».
Il cesello di quest’anima comincia fin dal suo arrivo tra i berberi del villaggio, dove de Foucauld mette le proprie competenze militari e geografiche al servizio dei colonizzatori francesi di stanza in quella regione remota dell’Algeria.
Lo attira il vuoto del deserto, ma anche lui deve farsi vuoto: deve liberarsi di sé e della stessa idea che s’è fatta di Dio per accogliere il Dio vero, che non si conosce.
«”Eccomi qui!”” mi dissi scrutando l’orizzonte quando finalmente rimasi solo; ma subito mi parve di sentire Dio rispondere: “No, non sei affatto qui; sei molto lontano dal deserto; non c’è ancora un briciolo del deserto nel tuo cuore”».
Venuto con l’idea di evangelizzare i pagani del Sahara e acquisire discepoli con i quali iniziare la tanto sognata fraternità religiosa, si scontra con una realtà ostile e sperimenta il fallimento dell’apostolo, nella più terribile solitudine e senza neanche il conforto dell’Eucaristia. In attesa del permesso per poterla conservare, unico suo interlocutore è il tabernacolo vuoto della cappella che ha tirato su col fango. E proprio lì davanti, «una notte sentii Dio dirmi qualcosa di simile a “vieni senza nulla”».
Il suo primo e unico compagno, fratel Michel, presto l’abbandona perché inadatto a quella vita incredibilmente austera. Deriso e tormentato dai piccoli berberi che lo bersagliano con i noccioli dei datteri, diventa l’idiota del villaggio, disprezzato dai nativi che si approfittano di lui per portargli via le poche cose.
Ha l’impressione di entrare in una notte fonda. «Ma cosa ci faccio qui?». Si sente senza Dio. «Ah, il nulla! Non so cosa sia, ma bisogna essere nulla perché Dio possa entrare nel cuore […] Il grande mistero di Dio è la sua assenza. Non è possibile arrivare alla fede senza percorrere il cammino dell’ateismo, senza soccombere a quella tentazione». E proprio come Cristo in croce, dopo il grido, s’abbandona al Padre, fiorisce in fratel Charles la celebre preghiera che inizia con: «Padre, mi affido alle tue mani. Fa’ di me ciò che ti piace…».
Ormai ombra di sé stesso, cade gravemente malato. E qui la svolta: mentre è in preda al delirio sul suo giaciglio, quegli stessi bambini che gli avevano reso la vita difficile, vengono per giorni ad assisterlo e ad alimentarlo. Uno di loro, proprio quello che gli era stato più ostile, Ouksem, gli presta ogni cura con la devozione di un discepolo verso il maestro.
Per de Foucauld è l’inizio della rinascita. Viene accolto come “marabutto”(santone, asceta) da quei berberi di cui ora ammira la religiosità, gli austeri costumi, e dai quali non smette di imparare. Lo zelo apostolico finalmente si placa: diventa l’amico di tutti, il fratello universale che un giorno verserà il proprio sangue per questa gente.
Chi viene a Béni-Abbès sulle tracce di fratel Charles, lo trova ora nei suoi figli e figlie che mai vide: i Piccoli Fratelli e le Piccole Sorelle che ripetono, in quello che fu il suo eremo, la vita umile e nascosta di Cristo a Nazareth; lo trova nell’immensità del deserto che rappresentò per lui il vero luogo di appuntamento con Dio.