Dimenticando la famiglia…

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L’opposizione sostiene che la riduzione delle imposte realizzata con tagli alla spesa pubblica, soprattutto per le fasce di basso reddito che non ne beneficiano particolarmente, significa ridurre i servizi caricando di nuove spese tali cittadini, quando essi si trovano già in difficoltà per l’inflazione che avvertono più elevata di quella ufficiale. Il ragionamento è valido; ma se si va ad esaminare per grandi numeri quanto è previsto dalla Finanziaria 2005, sembra che le risorse per ridurre le imposte, almeno nel primo anno, non vengano da risparmi sulla spesa pubblica – quelli che vengono tante volte annunciati e poche volte realizzati -, se non altro perché per attuarli occorrerebbe la collaborazione della burocrazia statale, la stessa che verrebbe a soffrirne. Nel 2005 ci si basa invece sulle entrate attese dal condono edilizio, che però sembra saranno più magre del previsto, perché per fortuna alcune regioni si sono opposte allo scempio del loro territorio. Il condono edilizio, va detto, è un provvedimento particolarmente odioso, peggiore dei condoni fiscali, in cui lo stato rinuncia a parte delle imposte per ottenere introiti immediati e far emergere evasori totali: con il condono edilizio, infatti, per pochi soldi lo stato rinuncia all’osservanza, a tutto vantaggio di chi ne ha fatto spregio, delle regole da lui stesso stabilite per conservare integro il territorio nazionale anche per le future generazioni Avvalla quindi un danno permanente. Ma nella Finanziaria 2005 ci si basa soprattutto sulle entrate che si spera proverranno dagli studi di settore, i quali adegueranno, innalzandoli, i redditi minimi considerati accettabili dal fisco per commercianti, artigiani, ristoratori, professionisti. Categorie cioè i cui redditi effettivi sono difficili da controllare, che, con l’introduzione dell’euro, sembra abbiano approfittato largamente. Tali studi di settore innalzeranno di alcune migliaia di euro il reddito minimo su cui calcolare le imposte per queste categorie di contribuenti. Tuttavia le nuove aliquote fiscali prevedono riduzioni proprio per l’importo medio dei loro redditi: così essi finiranno per pagare una minor percentuale di un reddito più alto, probabilmente alla fine le stesse imposte degli anni precedenti. Un qualche vantaggio reale dalla riduzione delle aliquote fiscali lo avrà invece chi, avendo un elevato reddito da lavoratore dipendente, era già obbligato a pagare su di esso fino all’ultima lira. Se tutto questo è vero, allora il gran clamore per la riduzione delle tasse finirà in una specie di partita di giro senza alcuna sferzata all’economia, offrendo però al presidente del Consiglio la possibilità di sostenere di aver rispettato le promesse elettorali. Anche senza essere esperti fiscali, questo i cittadini lo avvertono chiaramente, e persiste la mancanza di fiducia nel futuro, il vero problema della nostra società. Essa, secondo la recente analisi del Censis, induce le famiglie italiane mature e benestanti – quelle che avrebbero i mezzi per rischiare nell’imprenditoria e far crescere l’economia – a vivere invece di rendite finanziarie. A mio parere, quello che oggi manca, sia nella Finanziaria del governo che nelle proposte della opposizione, è la prospettiva di una politica alta, capace di indirizzare verso obiettivi condivisi per il bene comune i sacrifici richiesti ai cittadini, L’ultima politica alta applicata in Italia è stata quella che ci ha permesso di entrare in Europa: un risultato che abbiamo pagato a caro prezzo, ma che ha avuto il merito di innalzare il livello del nostro convivere civile e di assicurarci una stabilità monetaria ed un ammodernamento normativo altrimenti impensabile. Oggi quali potrebbero essere nuovi alti obiettivi? Subito si è portati a pensare all’economia, e quindi ad affermare che occorrerebbe maggiore ricerca scientifica e innovazione nelle imprese; ma se si va alla radice, ci si accorge che anche queste indubbie carenze sono legate alla mancanza di fiducia, di speranza. La speranza non è una dote, è una virtù che nasce dalla determinazione nel raggiungere obiettivi importanti che ci trascendono: una virtù oggi necessaria per il futuro dei nostri figli e per la sopravvivenza della nostra cultura e identità nazionale. Una eredità preziosa da custodire per le future generazioni e mettere a disposizione dell’umanità intera. Che i politici italiani fino ad oggi abbiano pensato poco al futuro del nostro paese è evidente; malgrado decenni di governi a maggioranza di cattolici, che in teoria avrebbero dovuto difendere la famiglia, la politica fiscale italiana è stata in occidente la più efficace per ridurre le nascite. Oggi deteniamo il primato mondiale della denatalità, con una media di 1,29 figli per famiglia: se questa media rimanesse invariata, in mezzo secolo gli italiani si dimezzerebbero. Il nostro territorio non rimarrebbe certamente vuoto ed altre etnie diventerebbero maggioranza. Molto più attenti a questi aspetti sono stati i nostri vicini francesi, gli inglesi, gli svedesi e gli altri popoli nordeuropei, i quali, grazie a diverse politiche fiscali ed alleggerendo con aiuti pubblici i pesi di chi opta per una famiglia numerosa, possono oggi vantare nuove generazioni sufficienti a mantenere costante nel tempo la popolazione. In effetti, nel dibattito che ha preceduto la Finanziaria, la Lega aveva proposto di adottare il quoziente famigliare, meccanismo già vigente in Francia, che prevede che il reddito su cui calcolare le imposte venga prima diviso per il numero dei componenti della famiglia: un meccanismo che riduce di molto le imposte delle famiglie numerose e mono-reddito. La Lega ha poi, purtroppo, abbandonato la sua proposta, perché, se adottata, avrebbe richiesto sacrifici di bilancio superiori a quelli oggi previsti, ma in cui però i cittadini probabilmente avrebbero visto un vero cambiamento, un segno di svolta nella storia del nostro paese e quindi motivi di speranza. Con esso, infatti, le giovani coppie non sarebbero più state obbligate, per far quadrare in modo dignitoso il bilancio familiare, a dover lavorare in due a tempo pieno; e le molte che ancora oggi sono desiderose di avere più figli, se non altro per amore dei loro figli unici, avrebbero potuto farli nascere senza dover per forza scegliere di essere eroiche. È possibile trovare le radici del male oscuro della poca speranza? Dalla caduta dell’impero romano, l’Italia per secoli è stata invasa e dominata da quasi tutti i popoli confinanti: e ne è nato il miglior meticciato culturale del mondo, come lo ha definito Sendar Senghor. Forse da qui nasce quella nostra facilità a dialogare alla pari con ciascuno, senza sensi di superiorità o sudditanza, così utile ai nostri imprenditori all’estero, come alla nostra accoglienza dei turisti. Ne può essere però anche nata una ridotta considerazione per la nostra identità nazionale e per la nostra e cultura e, di conseguenza, poco interesse dei nostri politici per questi temi, invece così presenti al presidente Ciampi. Come recuperare speranza e attività economiche? Ogni essere umano sente la spinta naturale a crescere figli e, quando questi arrivano e crescono, chi ha avuto modo di accumulare risparmi trova ragionevole rischiarli in attività economiche che assicurino ad essi una attività di lavoro, anche se gli sarebbe più conveniente, per gli anni che gli rimangono da vivere, investirli nella finanza. Tenendo presente il messaggio delle elezioni americane che, malgrado vi fossero innumerevoli motivi per scegliere diversamente, hanno visto molti cittadini mettere al primo posto i valori dell’identità nazionale e della famiglia, i nostri politici, i sindacati e la società civile, anziché puntare a far crescere l’economia grazie a consumi superflui, potrebbero proporre con decisione di dedicare le limitate risorse nazionali a liberare le nostre famiglie giovani dall’ansia dell’arrivare alla fine del mese. E ciò considerando i loro figli una ricchezza di tutti, un bene pubblico primario.

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