Dilma Rousseff, una destituzione discutibile

Mentre chi la giudica è indiziato per corruzione, inizia contro la presidente del Brasile un giudizio politico per manovre di maquillage del bilancio. Un peccato che molti giuristi considerano veniale, anche perché commesso da quasi tutti i governi durante 70 anni. In pochi mesi, la maggioranza ha visto sparire gran parte dei suoi alleati. I deputati hanno votato per l’impeachment, a maggio toccherà al Senato decidere. Pare difficile evitare la disfatta. In tal caso, il governo sarà condotto dall’opposizione, in chiara contraddizione col mandato degli elettori
Un manifestante contro la presidente Rousseff

Meno di un anno fa, l’idea di destituire la presidente Dilma Rousseff era considerata una mera ipotesi. Anche chi scrive credette che si trattasse di un esercizio teorico. Sembrava irreale sfondare l’alleanza che reggeva il governo di Rousseff al punto da ottenere i due terzi dei voti dei 513 deputati. I fatti, nel giro di pochi mesi, sono andati ben oltre e ieri ben 367 legislatori hanno votato a favore dell’impeachment. Ne sarebbero bastati 342. La maggioranza, che aveva bisogno di 141 voti, ne ha raccolti appena 137. Peggio del previsto.

 

Si sapeva che sarebbe stato altamente difficile ottenere i voti necessari. In queste settimane la maggioranza ha sofferto un'emorragia intensa, con l’allontanamento di vari partiti dell’alleanza di governo. A cominciare dal PMDB, di centrodestra, del quale sono rappresentanti il vicepresidente della Repubblica, i presidenti delle due Camere e 7 dei ministri del governo, ora rinunciatari. Cosa è successo nel frattempo?

 

Intanto la crisi economica è sprofondata in una recessione come non si vedeva da decenni. Dilma Rousseff ha cercato di capeggiarla, ma cedendo alle richieste dei settori di centrodestra alleati e aprendo la strada alle ricette liberali che il Paese aveva abbandonato da anni. La presidente ha irritato la cittadinanza facendo esattamente il contrario di quanto promesso in campagna elettorale appena un anno e mezzo fa. Lo ha fatto cercando di accontentare mercati finanziari, banche e settori industriali per niente disposti a pagare il conto della crisi senza tagli vistosi alla spesa pubblica e dunque alle politiche sociali, quelle che hanno consentito in questi anni di recuperare tra 30 e 40 milioni di cittadini dalla povertà. Ma questi settori non si accontentavano di misure congiunturali. Il loro obiettivo, come si è potuto notare, andava ben oltre.

 

Nel frattempo, la palla di neve dello scandalo per le bustarelle provenienti dalla statale Petrobras e le imprese del suo indotto ha preso le dimensioni di una enorme valanga per svariati miliardi di dollari. Decine di legislatori, imprenditori e dirigenti di partito di quasi tutto l’arco politico, sono finiti in carcere con dure condanne o sono sotto inchiesta. Lo scandalo ha raggiunto l’ex presidente Lula da Silva e la stessa Rousseff. Il primo indiziato di aver ricevuto favori, la presidente sospettata di conoscere gli intrallazzi usati per finanziare i partiti, che è il tema di fondo di questo pasticciaccio brutto. L’irritazione nella società civile è andata in crescendo. E la presidente non ha dimostrato di aver compreso a fondo la protesta della gente scesa nelle piazze opponendosi all’impunità e alla corruzione. Le sue reazioni sono state goffe e poco ispirate al realismo e alla creatività politica per accogliere nella sostanza le istanze di una popolazione stanca di una corruzione sfacciatamente dilagante. Ed è un fatto che il Partido dos Trabalhadores (PT) paga il prezzo del suo eccessivo prammatismo, che ha tradito le aspettative di coloro che hanno votato per un rinnovamento della politica che non è stato promosso come di dovere.

 

Alcuni settori della magistratura si sono trasformati in giustizieri, ma spesso obbedendo anche alla direttive dei gruppi di interesse contrari al governo. Innecessarie operazioni di polizia con alto livello di spettacolarità, intercettazioni telefoniche fatte filtrare con grande opportunità hanno inserito nello scontro politico magistrati e mezzi di stampa. Le bustarelle di Petrobras servivano a finanziare i partiti, ma sono state anche l’occasione per vari furbetti del quartiere per intascare voluminosi assegni incamerati. Tra questi, il principale promotore dell’impeachment: il presidente della Camera, Eduardo Cunha, sorpreso dalla giustizia con vari conti bancari all’estero per 5 milioni di dollari che non ha potuto spiegare. Cunha, membro del conservatore PMDB, ha considerato le indagini un tradimento del suo alleato, il Partido dos Trabalhadores (PT) della presidente, e ha reagito aprendo la via all’impeachment.   

 

Quale sarebbe stata la colpa del governo di Rousseff? La corte dei conti brasiliana, con una decisione inedita in 70 anni, ha osservato il bilancio rilevando che alcune voci di spesa erano state registrate nell’esercizio successivo. Il ritardo fece sì che le banche pubbliche dovessero sopperire alle voci di spesa, il che provocò che il governo dovesse poi pagare gli interessi sui fondi messi a disposizione dalle banche. Si tratterebbe di crediti occulti che la legge non consente. In realtà, la manovra aveva l’obiettivo di ridurre in apparenza il deficit pubblico. Un espediente al limite della legge. Senz’altro. Ma adottato sistematicamente da tutti i governi da decenni. La dottrina giuridica in merito presenta teorie contrapposte, ma in realtà influenzate dalla polarizzazione politica che in Brasile sta facendo piazza pulita di ogni considerazione moderata. Si è a favore o contro Dilma Rousseff, magari senza considerazione alcuna del clima di ingovernabilità che si sta installando.

 

Lo ha espresso con lucidità la ex candidata alla presidenza Marina Silva quando ha indicato che né Dilma Rousseff, né il vicepresidente Michel Temer (PMDB) hanno oggi la statura morale per continuare nel mandato delle ultime elezioni. Non le mancano ragioni. La gente ha votato una formula di governo, ma oggi Temer e il suo partito sono passati all’opposizione. Quale maggioranza lo sosterrebbe? Siamo di fronte a una palese forzatura della volontà popolare che ha dato una chiara indicazione votando una coalizione che oggi non esiste.

 

La legge non prevede la strada delle elezioni anticipate, per farlo occorre emendare la costituzione. Sarà possibile?

 

A maggio il processo d’impeachment passerà al Senato dove sarà necessaria la maggioranza semplice per destituire la presidente. Pare difficile che si possa evitare una nuova sconfitta della presidente che, nel frattempo, sarà sospesa dalle sue funzioni, per un massimo di sei mesi, il tempo che durerà il processo politico. Il presidente del Senato, Renan Calheiro condurrá il dibattito. Membro del PMBD è anche lui indagato per corruzione. Non sarà facile uscire da questa crisi.

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