Digitale, zone montane e rurali ancora penalizzate
Nell’immediato dopoguerra, i divari tra aree urbane e zone rurali del Paese erano quelli delle strade mancanti. «Gli hanno fatto la via per andare via», per dirla con chi ricorda le fasi più complesse e drammatiche delle montagne italiane, dei “lassù gli ultimi” e dell’abbandono. I divari hanno solcato le valli alpine e appenniniche fino a renderle margine, tagliandole fuori. Non si facevano le strade perché erano troppo pochi lassù, non si portava la corrente elettrica, il metano.
«Le sperequazioni territoriali, in molte aree alpine, appenniniche, delle isole, non sono mai state vinte» – riflette Giampiero Lupatelli, economista territoriale, alla guida di Caire, Cooperativa Architetti e Ingegneri di Reggio Emilia, che da cinque decenni analizza dinamiche sociali e produce rielaborazione di dati. «Le logiche dei numeri ridotti hanno visto solo negli ultimi anni lo Stato provare a intervenire per colmare i gap di impegno delle imprese private. Oggi è imprescindibile – continua Lupatelli – e il Covid-19 ha mostrato l’importanza di livelli istituzionali, a partire da quello centrale, che investono e incentivano, obbligano imprese “di Stato” a intervenire».
Se ne è parlato anche agli Stati generali della Montagna, convocati a Roccaraso nelle scorse settimane. Vale per scuole, trasporti, sanità, welfare. L’essere nodo della rete condiziona lo sviluppo locale, l’accessibilità dei territori, la crescita del capitale umano e la valorizzazione del capitale naturale. Come possiamo essere green e smart? Quelle che erano strade ed energia elettrica negli anni Cinquanta e Sessanta, oggi sono le dorsali (e gli anelli) di fibra ottica, nonché i ripetitori di segnale. Sui quali muovere dati e idee. Non è scontato che i primi veicolino i secondi, ma di fatto è l’obiettivo.
«Quando Uncem due anni fa ha iniziato a denunciare la gravità del divario digitale – spiega Roberto Colombero, già Sindaco di Canosio, in alta Val Maira, e oggi membro della Giunta piemontese dell’Unione dei Comuni, delle Comunità e degli Enti montani – lo ha fatto ponendo in primo luogo un problema di consapevolezza». Mentre era e rimane marcata l’esigenza di avere buone connessioni per la trasmissione dati ad alta velocità in tutto il Paese (per navigare su internet, guardare un film, giocare on line, scambiare progetti e lavorare a distanza), non era e non é compreso che la mancanza di segnali per la telefonia mobile e l’assenza di adeguati segnali televisivi rientra in quella dimensione un po’ oscura che quando la racconti nei palazzi romani fa più sorridere che altro.
«Vai a spiegare – apre le braccia Colombero – che in migliaia di Comuni italiani è impossibile mandare messaggi e telefonare, oppure che centinaia di paesi hanno difficoltà a vedere i canali del bouquet televisivo e che non fosse stato per le Comunità e le Unioni montane, proprietarie dei ripetitori, tutto sarebbe ancor più grave». Rai e tante tv private lo sanno, lo hanno capito (il servizio pubblico con un po’ di ritardo) e qualche passo in avanti si è (solo recentemente) fatto.
La comprensione che le reti veicolino opportunità di sviluppo – a partire da dati, app, sistemi informativi – per i territori, oggi esiste. È noto e vale anche per le aree urbane. «Quello che manca – sottolinea Giampiero Lupatelli, che ha curato il dossier “La Montagna in Rete”, realizzato da Uncem, Caire e Fondazione Montagne Italia – è capire che senza un'”Agenda digitale per le aree montane”, chiara e finanziata, vengono a mancare molte opportunità e mancano in primo luogo una strategia e una programmazione che rendano migliore la PA nel dare servizi ai cittadini alle imprese. La digitalizzazione della Pubblica amministrazione è il vettore dell’associazionismo dei Comuni, è il collante naturale tra Enti territoriali, è strumento di condivisione e managerialità».
Uncem lo ha scritto nel Protocollo tra Uncem e il Ministero per la Digitalizzazione, firmato dal ministro Pisano, che inquadra proprio come tenere insieme investimenti sulle reti e riorganizzazione dei servizi, digitali. «Uncem lo ha ribadito quanto è riuscita a convincere le società di telecomunicazioni a investire in ripetitori, anche portando Governo e Parlamento a inserire, nella legge di bilancio, 1,5 milioni di euro per nuovi tralicci», sottolinea ancora Colombero, per anni impegnato nella costruzione della Strategia Aree interne, per le Valli Maira e Grana, nel Cuneese.
I fondi però non bastano, e con i finanziamenti europei (probabilmente anche col Recovery Fund e con la nuova Programmazione 2021-2027) occorre far altro. «Le imprese devono pensare, investire e portare “segnali” sui territori“, aggiunge Colombero. Così, in questa cornice (anche normativa, con le buone evoluzioni del DL Semplificazioni) è importante che i Comuni montani e le loro forme aggregative, i Sindacati come Uncem possano lavorare con Mise, Infratel e Open Fiber per accelerare il Piano nazionale per la banda ultralarga colmando due anni di ritardi gravissimi, ripensando il Piano stesso, ma vedendo uno Stato protagonista nel colmare disuguaglianze e sperequazioni. «Nella “Montagna in rete” – sottolinea Lupatelli – il Paese deve credere, anche con 5G o 6G…, oltre alla BUL, che evitano di restare nel “piccolo mondo antico”. Questa è la nostra grande vera Sfida per il presente che è già futuro».