Difficili da accettare, gli zingari?
La famiglia Guerrieri abita in via della Pisana, una zona periferica e popolosa vicino al raccordo anulare che, pur essendo ben collegata con il centro, è vissuta part-time dalla maggioranza dei suoi abitanti: i luoghi di lavoro, di studio e di svago sono per lo più altrove. “Quando è iniziata l’operazione Roma-Amor, io e mio marito Claudio insieme ai nostri due figli Lorenzo e Iacopo, abbiamo cominciato a guardare in modo più interessato il pezzettino di Roma in cui viviamo – mi racconta Elisa, insegnante di storia e filosofia in un liceo polivalente -; abbiamo avvertito una nuova responsabilità nei confronti del nostro quartiere”. E proprio la zona in cui abitano, all’inizio del 2001 viene turbata dalla notizia che il prefetto di Roma ha deciso di collocare una comunità di una quarantina di famiglie nomadi rumene in una struttura militare dismessa in località Bellosguardo, adiacente a via della Pisana. “La prima reazione da parte della maggioranza degli abitanti è stata il rifiuto – racconta Claudio -. Nella mentalità comune, in effetti, gli zingari sono visti come modo concreto a chi è diverso per abitudini, cultura e religione. Così ci siamo confrontati con il parroco e i sacerdoti di altre parrocchie vicine, ne abbiamo parlato con il presidente del comitato di quartiere e con due consigliere del municipio, che sono anche maestre dei nostri figli, e con molta altra gente. Per rendere viva la realtà dell’accoglienza e del dialogo non era tanto importante “fare” delle cose ma “come e con quale anima” portarle avanti tutti insieme. “Ci siamo resi conto che nel quartiere esistevano diverse “forze del bene”, ma mancava un’anima, un co-interesse che le sorreggesse e le unificasse. Ricordandoci una frase di san Paolo (“gareggiate nello stimarvi a vicenda”), ci è sembrato fondamentale puntare al positivo che è presente in ognuno e ci siamo impegnati nel cercare con costanza di costruire un dialogo autentico con tutti”. Andando avanti con questo spirito di collaborazione, a poco a poco i genitori della zona hanno cominciato a contribuire con idee e braccia e, tramite la scuola e la parrocchia, hanno raccolto vestiti e coperte per i rom. Le associazioni umanitarie che già seguivano il campo sono rimaste stupite dal fatto che il quartiere avesse espresso un desiderio di accoglienza e dialogo nei confronti dei nomadi. Successivamente, dando voce alla sensibilità delle due maestre consigliere municipali, si è costituito un “comitato di genitori per l’accoglienza e il dialogo”, che vorrebbe impegnarsi nel riconoscere i problemi del quartiere ed offrire un contributo umano, insostituibile, a fianco delle autorità locali e delle associazioni assistenziali esistenti. “La vera sfida e la vera scoperta, a questo punto, sono state quelle di andare al campo a portare il denaro e il materiale raccolto, e iniziare così un rapporto personale con alcuni dei rom – continua Claudio -: in particolare con il loro capo Paris che, fin dall’inizio, ci ha espresso il desiderio della sua gente di inserirsi nel nostro mondo ma non ha nascosto le difficoltà giuridiche e di mentalità che gradualmente si dovranno superare per arrivare ad un’integrazione”. Paris Iancu Selvester ha 36 anni, una moglie, sette figli e due gemelli in arrivo a giugno. È il portavoce del campo nomadi, e sta cercando di ottenere per sé e per gli altri il permesso di soggiorno come rifugiati politici. “Noi crediamo che l’Italia sia la nostra terra promessa – mi racconta -. In Romania, nostra terra di origine, vivevamo in una riserva, ciconsideravano stranieri, eravamo perseguitati perché avevamo cercato di costituire un partito per la difesa dei valori e dei diritti dei rom e siamo dovuti fuggire. La mia comunità costruiva mattoni d’estate e d’inverno suonava e cantava alle feste e alle cerimonie per guadagnarsi da vivere. La musica per noi è gioia, esprime i nostri sentimenti e ci aiuta a combattere la tristezza, i problemi e la povertà. Viene tramandata oralmente da padre in figlio e insieme all’amore, alla fedeltà e alla famiglia, è tra i valori fondamentali di noi rom. “Vorrei tanto – continua – che la gente di questo quartiere imparasse ad apprezzare queste nostre qualità. Da parte mia voglio impegnarmi per cambiare la vecchia mentalità degli zingari e desidero che i nostri giovani e i nostri bambini studino e imparino un mestiere per avere poi un lavoro. Stiamo cercando di costituire una cooperativa edile per la fabbricazione di mattoni e una compagnia di suonatori di chitarra, violino, tromba, sax e batteria che vada a suonare alle feste. Gli italiani sono persone “calde” e piano piano ci stanno accettando”. Ecco allora alcuni esempi concreti della “reciproca integrazione”. A Natale scorso, nella parrocchia della Perseveranza, si è svolto un concerto del coro con la partecipazione dei musicisti rom; le scuole della zona hanno fatto un regalo “personale” a ciascun bambino del campo nomadi dopo aver raccolto nomi ed età. Alcuni genitori hanno portato al campo il latte per i neonati e sessanta coperte raccolte dalla parrocchia, mentre altri hanno trovato porte d’occasione da montare nell’edificio ex-militare che li ospita. Intanto, da parte del comune, sono cominciati i lavori di ristrutturazione e sono stati consegnati i container che oggi sostituiscono le roulotte. Il giorno delle palme, la Caritas ha organizzato una preghiera ecumenica nella parrocchia di via di Villa Troili, ed il vescovo di zona, mons. Apicella, ha consegnato ai rom un grande televisore e un videoregistratore comprati con le offerte raccolte durante la Quaresima. Il pope rumeno, intervenuto per invito dei genitori del quartiere, ha conosciuto Paris, che gli ha chiesto di battezzare alcuni bambini e di iniziare un cammino di formazione religiosa ortodossa per chi nel campo lo desidera. “Siamo consapevoli di essere solo all’inizio e che i problemi da risolvere sono ancora tanti – conclude Elisa – ma siamo certi che l’amore messo nel portare anche una sola bottiglia di latte a chi lo chiede ha un valore assoluto e resterà per sempre”. difficili da “sopportare” perché poco puliti, e tra loro ci sono molti che rubano e vivono di elemosina. A noi invece questa è sembrata un’ottima occasione per accostarci in modo