Il difficile dibattito sulla guerra in Ucraina
La ricorrenza, orai imminente, della festa della Liberazione è al centro di una polemica molto intensa che trae origine dalle diverse e contrapposte posizioni relative alla guerra in corso in Ucraina.
In questo 2022, il 25 aprile cade a pochi mesi dal centenario della “marcia su Roma” che, nell’ottobre 1922, spalancò le porte all’instaurarsi del regime fascista grazie al sostegno della monarchia sabauda. Decisivo fu il consenso progressivo della classe dirigente e, quindi, della popolazione italiana attratta da una macchina del consenso totalitario che ebbe pochi decisi oppositori (solo 12 docenti universitari, forse 18 secondo alcuni, su 1.225 non prestarono giuramento di fedeltà alla nuova ideologia).
La lotta partigiana, infatti, coinvolse militari e civili fino ad allora abituati ad obbedire comunque all’autorità, anche ingiusta, di uno stato che andò allo sbando dopo l’armistizio del 1943. E la guerra di Liberazione fu particolarmente feroce come ogni conflitto che avviene tra fratelli.
Il contenzioso che accompagna la memoria della Liberazione dalla dominazione nazifascista, quest’anno non è rivolto al passato, ma al presente perché, per alcuni, esiste un parallelo tra questo tipo di guerra, tra civili in armi e forze di occupazione, e quella di opposizione degli ucraini sostenuti dalla Nato all’avanzata delle truppe di Putin. Paragone improponibile secondo i responsabili dell’Anpi, associazione nazionale dei partigiani italiani, e in particolare il suo presidente Gianfranco Pagliarulo, attaccato duramente da più parti e in particolare dal direttore di Micromega, Flores D’Arcais.
Per l’Anpi, già protagonista della manifestazione “pacifista” del 5 marzo, non è in discussione il diritto di difesa armata di uno Stato ma la scelta politica dell’Unione europea di rifornire di armi l’esercito ucraino in continuità con quanto finora compiuto dagli Usa e dai Paesi Nato con tanto di consiglieri militari e assistenza dei servizi segreti. Direttiva che il presidente del consiglio Mario Draghi, in uno storico discorso al Senato, ha rivendicato di seguire con fierezza come risposta all’arroganza di Putin.
Una linea sostenuta da un largo schieramento che vede tra i più convinti i dem di Letta, teoricamente i più vicini all’Anpi, compresa quella parte cattolico democratica che, con il costituzionalista Stefano Ceccanti, invoca a suo sostegno la lezione di Mounier e Maritain.
Una gran parte del cosiddetto mondo cattolico sarebbe teoricamente su posizioni contrarie all’invio di armi ma non esistono prese di posizioni ufficiali, tranne le Acli e Pax Christi. Di fatto la lacerazione attraversa ogni ambiente, come dimostra il focus promosso da cittanuova.it, e sconta un difetto di approfondimento su questi temi considerati finora, con evidente superficialità, “troppo di nicchia”.
Nel numero di gennaio 2022 di Città Nuova avevamo messo in guardia sulla necessità di trovare strade concrete di pace per non cadere nella trappola della prossima guerra giusta una volta archiviata con indebita fretta la sconfitta occidentale in Afghanistan.
La polemica verbale, alimentata dallo stile dei talk show, aumenta la confusione e non aiuta ad un confronto su questioni pesantissime che riguardano l’escalation bellica fino all’uso dell’arma nucleare tra le potenze coinvolte.
Siamo arrivati ad un punto in cui il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, da sempre in prima fila per il rispetto dei diritti umani e per dare voce ai conflitti dimenticati, è stato accusato di filo putinismo da parte di Luciano Capone de Il Foglio e del Federico Rampini del Corriere della Sera perché non si accoda all’euforia di impronta bellicista e insiste sulla necessità di lavorare ad una via negoziale per trovare una via di uscita che non esponga il popolo ucraino ad ulteriori sofferenze.
In questo quadro tragico e contraddittorio si assiste anche a prese di posizioni pragmatiche da parte di un generale della Folgore Marco Bertolini, ex comandante del Comando operativo interfoze (Coi), secondo il quale «prolungare una guerra come questa non fa vincere nessuno, allontana il dialogo tra le parti, e aumenta il tasso di morti, di violenze, costi sociali ed economici su tutti i fronti».
Il militare lamenta la mancanza di una forte politica estera della Ue capace di imporre la mediazione tra le parti perché, come ha detto a Il Fatto, «questo conflitto è a due passi da casa nostra e può espandersi come fa il virus, infettare il nostro Continente in un attimo. Se poi perdura, ci sarà un traffico incontrollato di soldati, armi e uomini da ogni parte del mondo, già succede. Tutto è possibile quando si armano centinaia di migliaia di persone col compito di ammazzarne altre. Le immagini di Bucha lo dimostrano».