In difesa dei popoli dell’Amazzonia
«Probabilmente i popoli originari dell’Amazzonia non sono mai stati tanto minacciati nei loro territori come lo sono ora». Con queste parole papa Francesco ha risposto al grido di dolore lanciato dai rappresentanti dei popoli nativi riuniti al Coliseo. Il Papa li ha abbracciati con commozione dopo averli ascoltati e le foto che lo riprendono mentre stringe a se quegli indios nudi, con il volto disegnato e un piccolo osso che gli pende dal naso faranno certo il giro del mondo. Ma al Papa importa di più che si ascolti la sua denuncia.
Così nel pomeriggio di venerdì, papa Francesco ha pronunciato al Palazzo del Governo di Lima parole severissime nei confronti delle estrazioni minerarie irregolari che in Amazzonia sono diventate un pericolo che distrugge la vita delle persone, mentre le foreste e i fiumi vengono devastati con tutta la loro ricchezza. Secondo il Papa, tutto questo processo di degrado implica e alimenta organizzazioni al di fuori delle strutture legali che degradano tanti nostri fratelli sottomettendoli alla tratta – nuova forma di schiavitù –, al lavoro irregolare, alla delinquenza… e ad altri mali che colpiscono gravemente la loro dignità e, insieme, quella di questa nazione.
Con ancora negli occhi la sofferenza dei popoli nativi dell’Amazzonia, i cui rappresentanti ha incontrato a Puerto Maldonado, Francesco ha deciso di concentrare il discorso più politico del viaggio, quello alle autorità istituzionali, alla classe politica, alla diplomazia e infine, e soprattutto, ai rappresentanti della società civile, proprio sul tema dell’Amazzonia. «Mai l’umanità – ha osservato Francesco –ha avuto tanto potere su sé stessa e niente garantisce che lo utilizzerà bene». In proposito il Papa ha citato la sua enciclica Laudato si’: «la perdita di foreste e boschi implica non solo la perdita di specie viventi, che potrebbero anche significare nel futuro risorse estremamente importanti, ma anche una perdita di relazioni vitali che finiscono per alterare tutto l’ecosistema». In questo contesto, «uniti per difendere la speranza», slogan che è il motto del viaggio, significa «promuovere e sviluppare un’ecologia integrale come alternativa a un modello di sviluppo ormai superato ma che continua a produrre degrado umano, sociale e ambientale».
Un cambiamento urgente, di tipo anche morale, quello invocato dal Papa. In molti paesi ed anche in Perù, infatti, «il degrado dell’ambiente, purtroppo, è strettamente legato al degrado morale delle nostre comunità». Dunque, «non possiamo pensarle come due questioni separate: accanto alla distruzione dell’ecosistema si insinua infatti un’altra forma – spesso sottile – di degrado ambientale che inquina progressivamente tutto il tessuto vitale: la corruzione. Quanto male – ha rilevato il Papa – procura ai nostri popoli latinoamericani e alle democrazie di questo benedetto continente tale virus sociale, un fenomeno che infetta tutto, e i poveri e la madre terra sono i più danneggiati. Ciò si può fare per lottare contro questo flagello sociale merita il massimo della considerazione e del sostegno; e questa lotta ci riguarda tutti».
Anche nello storico incontro a Puerto Madonado con i rappresentanti dei popoli nativi dell’Amazzonia (Harakbut, Esse-ejas, Matsiguenkas, Yines, Shipibos, Asha’ninkas, Yaneshas, Kakintes, Nahuas, Yaminahuas, Juni Kuin, Madija’, Manchineris, Kukamas, Kandozi, Quichuas, Huitotos, Shawis, Achuar, Boras, Awaju’n, Wampi’s, tra gli altri) Francesco ha criticato «la devastazione della vita che viene provocata con l’inquinamento ambientale causato dall’estrazione illegale, mentre avanza la tratta di persone: la mano d’opera schiavizzata e l’abuso sessuale. La violenza contro gli adolescenti e contro le donne è un grido che sale al cielo: Dov’è tuo fratello? Dov’è il tuo fratello schiavo? Non facciamo finta di niente. Ci sono molte complicità. La domanda è per tutti!».
«I popoli indigeni dell’Amazzonia – hanno detto i rappresentanti nel loro saluto al Papa – vogliono raccontare a tutta l’umanità che noi siamo preoccupati perché la terra si sta rovinando, perché gli animali si stanno riducendo, gli alberi scompaiono, i pesci muoiono, l’acqua fresca si sta esaurendo a causa delle conseguenze del cambiamento climatico e della conseguente comparsa di malattie, epidemie e fenomeni deleteri. Per tutto questo, il Cielo è molto turbato e piange perché stiamo distruggendo il nostro pianeta. Se non abbiamo cibo, moriremo di fame. La gente di Harakbut e tutti gli altri popoli dell’Amazzonia vogliamo dirvi: tutti noi ci prendiamo cura e proteggiamo la nostra terra per vivere in armonia».
«La Chiesa non smetterà mai di alzare la voce per gli scartati e per quelli che soffrono. Da questa preoccupazione deriva l’opzione primordiale per la vita dei più indifesi», ha risposto Francesco esortando tutti i cattolici del mondo, a «continuare a difendere questi fratelli più vulnerabili. La loro presenza ci ricorda che non possiamo disporre dei beni comuni al ritmo dell’avidità del consumo. È necessario che esistano limiti che ci aiutino a difenderci da ogni tentativo di distruzione di massa dell’habitat che ci costituisce.
«Non soccombete ai tentativi che ci sono di sradicare la fede cattolica dei vostri popoli – ha chiesto infine Francesco ai rappresentanti dei popoli nativi –. La Chiesa non è aliena dalla vostra problematica e dalla vostra vita, non vuole essere estranea al vostro modo di vivere e di organizzarvi. Quanti missionari e missionarie si sono impegnati con i vostri popoli e hanno difeso le vostre culture!», ha esclamato infine ricordando di aver convocato un Sinodo speciale dedicato all’Amazzonia, che in occasione della visita ha tenuto la prima riunione preparatoria proprio a Puerto Maldonado. «Abbiamo bisogno – ha concluso motivando la sua decisione di convocare il Sinodo speciale – che i popoli originari plasmino culturalmente le Chiese locali amazzoniche».